Il 30 giugno, con il cosiddetto “switch off” le televisioni comunitarie (circa 250 in tutta Italia) verranno abolite. Lo ho deciso la legge di Stabilità del 2011, ma non se n’è accorto nessuno, neanche dall’opposizione. La loro lunghezza d’onda è stata venduta alle reti di telefonia mobile. Il ministero dello Sviluppo Economico ha disposto il pagamento per tutte le lunghezze d’onda del digitale terrestre, eccetto che per le tre reti RAI, per La 7, per Sky. Questo “dono” è stato chiamato “beauty contest”, ma è difficile capire in che cosa consista il concorso di bellezza:
non certo nella scadente qualità di quello che queste emittenti trasmettono.
Il ministro Corrado Passera – ha scoperto il problema probabilmente anche grazie a Telejato, che ha sollevato il caso con una petizione corredata da tremila firme – ha recentemente dichiarato che il “beauty contest” sarà annullato e che le emittenti Mediaset, Sky e La 7 dovranno gareggiare alla pari di altre.
Dicono che a giugno taglieranno la spina. Dicono che circa 200.000 persone perderanno la loro voce. Dicono che queste sono le leggi del mercato, se non hai i soldi per comprarti un diritto non puoi neanche esercitare un dovere. Dicono che c’è un mare di gente che brinderà quando quella porta sarà chiusa. Dicono che va bene così, i provocatori devono essere isolati.
Dicono che la mafia non esiste e se mai è esistita lo è stata solo perché c’era gente che raccontandola le dava importanza. Dicono che non bisogna disturbare il navigatore. Dicono che per andare in video bisogna avere un editore. Dicono che per avere un editore bisogna essere obbedienti. Dicono che non bisogna pensare male del trasformismo. Dicono che il patto con il diavolo non è poi così male basta farci l’abitudine. Dicono che per vivere bisogna andare porta a porta con il cappello in mano. Dicono che la politica “del bene” non può mai essere criticata.
Dicono che gli affari sono affari e chi se ne fotte della libertà di informazione. Dicono che chi ha i baffi, parla in dialetto, si fa capire dalla gente, spiega le cose in modo semplice e macina chilometri, impreca, si incazza, ride, vive, sbatte il muso, suda, non dorme e vive di malox e sigarette non abbia diritto di considerarsi cronista. Dicono che chi mette la propria vita sul piatto della bilancia sia fesso. Dicono queste cose nel Belpaese.
Al festival di Perugia sfilano i big. Dicono queste cose mentre al Festival del Giornalismo di Perugia sfilano i big (reali e presunti) dell’informazione e si concede ennesimo spazio a chi spazio ne ha da decenni (2000 puntate non bastano?) facendo dell’informazione al servizio del potere farsa e inganno. Ma si sa, in un paese come questo mica si può pretendere che “la questione morale” riguardi anche a se stessi.
Anime belle, fottiamocene allegramente di chi informazione la fa sul serio, senza una lira, sul campo, rischiando vita e coglioni per raccontare un frammento di realtà. E se poi lo fanno fuori – e ci hanno provato eccome se ci hanno provato – poi facciamo un bel premio di giornalismo o un osservatorio o un fiction da mandare in prima serata. In memoria di. Lo spettacolo deve continuare. Spettacolo. Conosco Pino Maniaci, e Patrizia, Letizia e Giovanni, da un bel po’ di anni. Mi onoro della loro amicizia. Con loro ho diviso risate e lacrime, paura e rischi, successi di un giorno e paure e difficoltà di anni.
In memoria di… Con Pino mi sono trovato a scappare come un cretino in mezzo alla campagna per essere andato a filmare una delle tante stalle abusive dei Fardazza (se non sapete chi sono i Fardazza andate a guardarvi il capitolo “strage di Capaci” e “ala militare di Cosa nostra” su Wikipedia visto che ormai a questo contenitore avete delegato la memoria e la semplificazione), mi sono beccato minacce e intimidazioni, fatto chilometri, cercato tracce del fenomeno mafioso, raccontato pezzi di realtà, cagato sotto la notte dell’attentato del 17 luglio 2008.
Cronista di razza Pino, di quelli dalle scarpe sfondate e dai peli sullo stomaco. Uno che non molla. E infatti non ha mollato. Perfino quando l’ordine dei giornalisti siciliani (lo stesso che gli ha dato poi il tesserino da pubblicista dopo la colossale figura di merda che stava facendo) si fece parte in causa in un tentato processo nei suoi confronti per “esercizio abusivo della professione”.
Uno che non ha mollato nonostante la fame, le minacce a lui e alla sua famiglia, amici e collaboratori. Uno che per azzittirlo lo dovresti strangolare per strada o fargli saltare in aria la macchina (e ci hanno provato infatti sia a strangolarlo che a fargli saltare per aria la macchina).
Telejato è lui. La televisione più piccola e rompicoglioni del mondo. Oggetto prezioso e delicato, seguito da più di 200.000 persone che senza saltare un giorno preferiscono il Tg di TeleJato ai programmi rassicuranti e politicamente allineati di Rai e Mediaset. Dove? In un triangolo di terra di Sicilia che va da Corleone a Castellammare del Golfo a Cinisi. Con al centro Partinico da dove va in onda. Vi devo spiegare che razza di territorio è? Vi devo raccontare la storia di Cosa nostra dal 1943 in poi? Vi devo parlare di quanto sangue e dolore violenza quel territorio è stato attraversato?
Spero di no. Se non sapete un cazzo di quello di cui sto parlando c’è sempre Wikipedia, di lei vi fidate, no? Bene Pino Manici a giugno chiuderà TeleJato. Una roba del genere, che dovrebbe essere tutelata e tenuta in vita da un Stato e da una comunità che abbiano un minimo di di dignità, verrà azzittita.
Grazie a una leggina dal nome rassicurante di “Beauty contest” che mette all’asta tutte le frequenze televisive con una base di partenza irraggiungibile per un’emittente delle dimensioni di TeleJato. Perché nonostante le promesse di mantenere uno spazio (promessa fatta da questo governo) per le televisioni comunitarie (e questo è formalmente e nei fatti TeleJato) alla fine l’impegno non è stato mantenuto.
E TeleJato chiuderà. E parliamo di informazione? E parliamo di “paese moderno”? E parliamo di svolta morale? Alla fine i “piccioli”, in questa logica di riduzione della vita di una collettività a una conduzione meramente economica, vincono su tutti.
I soldi non puzzano. Anzi, ormai siamo andati oltre. I soldi sono tutto. Tutto il resto è sacrificabile. Anzi, peggio, ignorabile.
Pietro Orsatti
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