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Ci sono storie che vanno raccontate. Come la storia di Gianluca “Zendark” Cimminiello, un ragazzo napoletano con tanti sogni e speranze, che aveva scelto la strada del lavoro; saggio, onesto. Interpretava i desideri di chi s’imbatteva, nel suo laboratorio, traducendo disegno in tatuaggio.

Ed è sera, nel suo negozio, quando Luca cade, sotto i colpi di una bestia, chiamata camorra, che la Procura di Napoli – terza sezione della Corte di Assise presieduta dal Giudice Carlo Spagna gli ha dato un nome, un cognome e una condanna: Vincenzo Russo, ergastolo.

“Zendark”, ucciso per invidia e vendetta. All’origine c’è una foto con Ezequiel Lavezzi che Gianluca si fa scattare una domenica di fine gennaio davanti all’ingresso degli spogliatoi dello stadio San Paolo. Il Pocho è infortunato, non ha giocato, e mentre aspetta i compagni accetta di posare con i tifosi. Quella foto finisce su Facebook, come mònito per chi pensa di farsi tatuare solo per emulare un calciatore. Per Gianluca, il tatuaggio è un’arte, che non è nelle mani di tutti: “L’ Artista è il tatuatore, non chi tatui, puoi tatuare anche un personaggio famoso, ma ciò che conta è il risultato sulla pelle! Non fatevi ingannare da queste sciocchezze, confrontate i lavori tra tatuatori e da li fate la vostra scelta” – queste, le sue parole in accompagnamento alla foto.

“Da quel momento Gianluca comincia a ricevere svariati messaggi da parte dei clienti che gli chiedevano se avesse tatuato lui Lavezzi. “Ma Luca rispondeva sempre di no”, racconta una testimone ai carabinieri durante le indagini. Perché nella abnorme, terrificante, assurda mentalità criminale, il giovane di Secondigliano si è macchiato di un grave delitto: aver pubblicato sul proprio spazio facebook, una foto così pregiata, con un riferimento preciso. Un gesto imperdonabile, uno sgarro assurdo per il tatuatore Vincenzo Donniacuo, chiamato nel suo giro “Enzo il Cubano”, dal nome dello studio che gestiva a Melito.

E’ ossessionato “Enzo il Cubano”. Comincia a rivolgere a Gianluca ripetuti commenti  talora di scherno, fino a diventare intimidatori, in altri casi. Gianluca cancella il cubano tra i suoi contatti facebook, ma quest’ultimo non si rassegna e passa all’”avvertimento fisico”. Dei giovinastri, armati di coltello, fanno irruzione nel laboratorio a Casavatore, per un “chiarimento”; Gianluca per niente intimorito trova il coraggio di bloccare l’azione criminale.

Da bravo istruttore di arti marziali, si difende attaccando e ferisce allo zigomo Vincenzo Noviello, un componente del commando ma soprattutto cognato del boss (all’epoca latitante) Cesare Pagano, capo degli scissionisti. Non si tratta di un avvertimento quindi ma evidentemente adesso di una sentenza di morte.

Tre colpi, di cui due a segno, chiudono gli occhi per sempre a Gianluca Cimminiello, un giovane artista di Secondigliano, vittima innocente di camorra a 31 anni. “La vita è breve e senza senso se non viene vissuta nell’assoluta pace con gli altri” – questo, ripeteva Gianluca, che prima di essere ammazzato aveva inserito in un post il suo testamento morale: “Perdona il prossimo, che chi non ha il perdono nel cuore vive male, ma ignora chi persevera nel male”.

A soli due anni dall’omicidio, il 2 febbraio scorso, il processo si è concluso in primo grado con la condanna all’ergastolo, per Vincenzo Russo, il killer. Già: i killer. Burattini nelle mani di abili “pupari”. Manovalanza delle mafie, abituati a chinare la testa e distruggere vite.

E’ importante raccontare. Dietro ogni vittima innocente ci sono persone che svolgevano un’esistenza normalissima; se non fermiamo questi assassini, se ci giriamo dall’altra parte, potrebbe capitare a chiunque” spiega Susy Cimminiello, la sorella minore di Gianluca (componente attiva nel Coordinamento familiari vittime innocenti di criminalità della Campania), che con voce forte, intensa racconta la storia di suo fratello a chi non lo conosceva.

“Abbiamo il dovere di cambiare le cose, di smuovere le coscienze – ribadisce Susy – sono nata a Napoli e non me ne voglio andare da qui. Non dobbiamo chiuderci nel nostro dolore”. Questa è la città di chi denuncia e non si arrende; la città delle vittime innocenti e non di criminali senza scrupoli, che si atteggiano a padroni di niente.

Eliana Iuorio

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