Un trucco c’è e si vede. La fu Bagnolifutura, la società che si doveva occupare della bonifica e trasformazione dell’ex area siderurgica dell’Italsider, ha parzialmente ceduto attraverso un bando (più volte modificato) a società private delle zone edificabili. Nessuno scandalo. Occorrono capitali privati ed è giusto rendere le aree appetibili e profittevoli economicamente.
Una, in particolare, sorge a non molta distanza da una pineta e da zone ad elevato valore paesaggistico, tutte sottoposte a vincolo. Proprio qui – visti i propositi – sarà realizzata un’imponente torre e fabbricati, congiuntamente – in una fase successiva – saranno allargate anche le sedi stradali.
C’è il sospetto di una sciagura all’orizzonte: una colata di cemento e asfalto sommergerà una vasta area che corre da Posillipo a Coroglio. I guai non sono finiti, anzi tutt’altro. Facciamo un passo indietro. Bagnoli e il suo disegno urbanistico nasce con un problema irrisolto e colpevolmente trascurato.
Nel piano urbanistico attuativo (Pua) – a suo tempo elaborato e approvato nel 2004 – non sono stati indicati i limiti delle altezze per le nuove costruzioni. Nel documento si fa accenno ad una generica altezza media degli edifici. Questa dimenticanza o meglio miopia progettuale ha due derive: produce da un lato edifici raso-terra che mangiano il territorio mentre dall’altro porterebbe alla costruzione di fabbricati perfino più alti di venti piani.
La denuncia nero su bianco è di Stefano Gizzi, attento soprintendente ai Beni architettonici e paesaggistici che non solo ha chiesto ufficialmente all’assessorato all’Urbanistica del Comune di Napoli di correggere con urgenza lo strumento urbanistico ma ha invocato – secondo quanto previsto dalla normativa – il proprio parere sui progetti e le deliberazioni del Municipio. Prassi d’ufficio che invece non si sa perché a Napoli è ignorata.
Claudio Riccardi
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