Marano, il flop dei beni confiscati

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Marano, la città del boss Polverino blocca le assegnazioni. Il 69 per cento degli immobili sequestrati e poi confiscati non viene assegnato per problemi di natura giuridico amministrativi. Ville, palazzi, immobili di valore restano abbandonati nel limbo con il rischio di vandalizzazioni e ritorsione da parte degli stessi camorristi.

Beni confiscati: molti annunci, pochi risultati. Sono nel complesso 90 – come si evince da un rapporto inedito dell’Agenzia del demanio – gli immobili confiscati alle potenti organizzazioni criminali di Marano. Un dato imponente, insomma, che la dice lunga sulla penetrazione della camorra nel tessuto sociale di questa popolosa città, da decenni feudo incontrastato dei clan Nuvoletta, Polverino e Simeoli, la cui massima istituzione è stata commissariata nel 2012 in seguito alle dimissioni dell’ex sindaco Mario Cavallo. Per il 31 per cento di queste unità immobiliari è stato già adottato il decreto di destinazione e i beni, 28 in totale, sono stati già consegnati alle forze dell’ordine e al Comune, mentre per il restante 69 per cento non si è ancora provveduto alla formale consegna o ci sono procedimenti giuridico-amministrativi tuttora in corso. Si tratta di palazzi, ville, negozi, box, terreni e locali sparsi su un territorio molto vasto, la maggior parte dei quali ubicati nella zona collinare (Camaldoli) o in quelle limitrofe alla città di Quarto. Un business milionario sottratto ai tentacoli delle potenti organizzazioni camorristiche, di recente insidiati dai clan emergenti dell’area a nord di Napoli, o imprenditori in odore di mafia e già finiti nel mirino della magistratura. Peccato però che quei beni non siano mai stati destinati ad attività sociali o riutilizzati dal Comune per trasferirvi i propri uffici. Le colpe? In primis della politica, spesso timorosa o addirittura connivente, ma anche della burocrazia, della mancanza di mezzi e risorse economiche. A Marano si sono evidenziate, nel corso dell’ultimo decennio, tutte le criticità tipiche della complessa gestione del patrimonio confiscato: eccessivo lasso di tempo che intercorre tra la fasi di sequestro, confisca, destinazione e gestione; gravami ipotecari sui beni; disomogeneità delle procedure giuridiche e amministrative; ricorsi da parte dei vecchi proprietari; mancata collaborazione interistituzionale; inidoneità di alcune strutture. Una matassa su cui sta concentrando la propria attenzione anche il commissario straordinario del Comune, il prefetto Gabriella Tramonti, ma ancora ben lontana dall’essere districata. Archiviata la fase di accertamento svolta da un’apposita commissione, si proseguirà sulla strada dell’attivazione delle procedure di sgombero di alcune lussuose ville: due in particolare i cui intestatari sono riconducibili alla famiglia Simeoli. Intanto ad oggi, del gran numero di beni in dotazione al Comune o ad altri enti pubblici, soltanto una piccola parte (qualche box del parco Annabella in località san Rocco) viene utilizzata per fini associativi. Restano da sciogliere, insomma, ancora tantissimi nodi. Nodi che riguardano il mancato avvio dei lavori per la realizzazione di un asilo nido (finanziamento regionale) sul terreno intitolato al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; l’utilizzo di una vasta area su cui già sarebbe dovuta sorgere un’isola ecologica o il riutilizzo di ville e terreni intestati al superboss Giuseppe Polverino alias “Peppe ‘o barone” o alla famiglia Simeoli. Tra queste la villa bunker e altre strutture che, già dai primi anni del 2000, avrebbero dovuto accogliere un centro per immigrati, organismi del Terzo settore o sedi dell’Arma e della Guardia di finanza, ma poi rimaste soltanto sulla carta.

Ferdinando Bocchetti

 

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