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IL KILLER Salvatore Baldassarre, 30 anni, stessa età della sua vittima innocente Lino Romano, sorridere spavaldo e affida al vento i suoi baci indirizzati alla giovane moglie,

al gruppetto di parenti e ai compari riunitisi davanti i cancelli della caserma Pastrengo a inneggiare in coro il suo nome.

 

Inutile nasconderlo, il ribrezzo è forte. La sensazione è di profondo schifo. Il senso è di nausea. Questa gente è irrecuperabile. Servono pene esemplari. Il carcere a vita è il minimo. La giustizia non è sinonimo di vendetta. E’ vero. Ma uno Stato democratico deve pur salvaguardare i suoi cittadini e il valore della coesione sociale quando si oltrepassa un limite. Salvatore Baldassarre, quel limite l’ha superato e di molto. In quegli occhi di assassino c’è solo il male assoluto. Il disprezzo della vita altrui.

La spocchia ostentata, l’indifferenza più totale rispetto a ciò che ha causato. Questa bestia – la sera del 15 ottobre in corso Marianella – ha premuto il grilletto per 14 volte. Il corpo di Lino è stato deturpato, devastato, oltraggiato dal piombo esploso senza pietà. Sangue e brandelli di innocente dappertutto.

Lino, nulla c’entrava con la camorra, era andato dalla sua Rosanna: l’amore della sua vita. La giovane che lo rendeva felice semplicemente con uno sguardo, un sorriso. Un saluto veloce solo per dirsi “ti amo”. Solo per rinnovarsi una promessa. E’ la vita delle persone normali. E’ la vita di chi guarda il mondo con gli occhi del bene. Lo aspettavano gli amici per una partitella a calcetto. Lino era appena entrato in auto.

Non ha avuto il tempo di mettere in moto. Salvatore Baldassarre, conosciuto come “’O demonio” ha cominciato a sparare. Uno, due, tre, quattro, cinque alla fine quattordici colpi esplosi a raffica contro Lino, un innocente. Un omicidio assurdo, aberrante, abietto eseguito da un manovale di camorra  troppo onore definirlo uomo. A chi degli affiliati gli ha chiesto spiegazioni del clamoroso errore, lui ha fatto spallucce dicendo : “Io quando poi inizio a sparare non mi fermo più”.

Nell’ambiente dei clan “’O demonio” che è cugino di Arcangelo Abbinante, un altro giovanissimo guappo di cartone, a capo del gruppo scissionista di Scampia che è in lotta con i “girati” della Vannella Grassi è noto per la sua mano ferma, la mente lucida, un’ottima mira e il non avere vizi. Quando è uscito dalla caserma Pastrengo stretto nella morsa dei carabinieri non ha calato mai la testa, mai. Sguardo tagliente, arrogante e vestito di tutto punto con abiti blu firmati North Sails.

Mi chiedo cosa c’è da recuperare? I sociologismi  li  lascio  sullo  sfondo: le periferie degradate, l’ambiente sociale, l’educazione della strada, l’assenza di opportunità. Il solito bla, bla, bla. C’è una verità senza appelli: c’è gente che consapevolmente sceglie la camorra. E’ un modello impresso nel loro gruppo sanguigno. Un cromosoma genetico.

Penso alla moglie di Salvatore Baldassarre. Giovanissima e disperata. Ha il volto paonazzo, resiste al cordone dei carabinieri, si sbraccia, grida il nome del marito, l’invoca, gli manda i baci mentre l’auto lo conduce al carcere di Secondigliano. Non capisco. Il loro destino è segnato.

Con l’arresto anche di Giuseppe Montanera, si è chiuso il cerchio sull’assassinio di Lino. Montanera, secondo gli inquirenti, oltre ad essere elemento di vertice del clan  degli Scissionisti, sarebbe colui che ha ordinato l’omicidio di Domenico Gargiulo, soprannominato “sicc’ ‘e penniell”, pusher del clan avverso.

Durante l’agguato, però, fu ucciso il 30enne  scambiato per l’obiettivo del regolamento di conti.   Concludo con le parole di Giuseppe Romano, il papà di Lino.

“Siamo morti il 15 ottobre. La cattura dell’assassino di mio figlio, non è una resurrezione. Né per noi e neanche per questa società. E nemmeno per un attimo,il sapere che questa persona è ora in carcere, ci dà sollievo. Respiriamo. Ma la vita vera, quella dei sentimenti e dell’essere persona, non è più con noi”.

 

Arnaldo Capezzuto

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