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NON C’E’ PIU’ RELIGIONE. Adesso perfino il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe lancia invettive contro gli inquinatori e gli avvelenatori della terra dei fuochi vestendo i panni di un inedito Masaniello ambientalista. Forse sarà la moda del momento, chissà. L’alto prelato partecipa a cortei contro il biocidio e a fiaccolate di protesta. A favore di telecamera abbraccia e bacia don Maurizio Patriciello,

chiacchiera con parroci da sempre in prima linea e rappresentanti dei comitati civici. É un nuovo protagonismo dell’Arcivescovo che si riscopre movimentista. Insomma alla soglia dei 70 anni si è accorto come un sistema malavitoso, formato da imprenditori corrotti, politici venduti, camorristi, funzionari di Stato infedeli, massoni, broker, negli anni  hanno ridotto la Campania Felix in una gigantesca pattumiera.

 

L’acuto lo si ascolta quando dal palco della manifestazione “Marciare per non marcire” svoltasi a Marano, pochi giorni fa, l’ex Papa Rosso  prende la parola e dice: “Per amore del mio popolo non tacerò. La chiesa non può tacere davanti agli scempi perpetrati  contro gli uomini e il territorio.

Chi commette questi delitti, si macchia di un peccato grave. Pecca nei confronti degli uomini e di Dio”. Si resta in apnea. Manca il fiato e lo stomaco è in subbuglio. Come? Perché? Non ci posso credere. Non si può credere. Il capo dell’Arcidiocesi di Napoli – in una accalorata denuncia – adopera le parole di don Peppino Diana? Ecco.

Cosa c’entra il porporato partenopeo per storia personale, curriculum, frequentazioni, scandali  inchieste  giudiziarie   con    l’autore di “Per amore del mio popolo non tacerò”? Il documento-manifesto contro il sistema criminale  e camorrista pensato e scritto da Don Peppino e diffuso a Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe  e della zona aversana.

Quell’atto fu una rottura anche dentro la chiesa, un impegno anomalo, una estrema testimonianza solitaria che ben presto sancì la condanna a morte di Don Diana.

I killer della camorra – il 19 marzo del 1994 – (giorno dell’onomastico di don Peppino) entrarono nella  sagrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, e spararono contro il parroco cinque proiettili: due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo.

Ma negli stessi anni dello strapotere dei clan e dell’aggressione ai territori cosa faceva e dov’era il futuro cardinale di Napoli?  Nonostante Sepe sia originario di Carinaro, comune del Casertano, non molto lontano da Casal di Principe, ha avuto sempre uno sguardo distante da quei luoghi martoriati.

Qui le tre scimmiette non c’entrano niente. E’ stato lo Spirito Santo a guidare e instradare il giovane prete Sepe verso una grande e luminosa carriera all’interno dei piani alti dei palazzi del Vaticano. Oggi – cioè in tempi di magra – lo si ascolta in comizi moraleggianti, in proclami e in filippiche.

Serpeggia un forte disorientamento tra i molti cattolici campani. Capita – ad esempio – che durante la grande mobilitazione  #fiumeinpiena se solo si evoca il cognome di sua Eminenza  parte una bordata di fischi. C’è un suono sordo. Un fruscio che disturba.  Una contraddizione di fondo.

Il cardinale Sepe nel 2008 fu duro, durissimo con i sacerdoti di Napoli Nord che gli chiedevano di non vendere la Cava di Chiaiano che avrebbe accolto una mega discarica nel parco collinare della città.

Siamo in piena emergenza rifiuti. Il tutto avvenne grazie alla concessione dei suoli di proprietà dell’Arciconfraternita dei Pellegrini. I parroci che provarono a schierarsi contro la discarica, vennero bacchettati dalla Curia di Napoli e invitati a “fare più i sacerdoti che gli ecologisti”.

L’Arciconfraternita dei Pellegrini mise infatti a disposizione il sito tra l’imbarazzo generale. All’epoca a gestire l’emergenza dei rifiuti a Napoli c’era Guido Bertolaso (Opus Dei), un vecchio amico di Sepe. E’ lo stesso sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che dirà ai pm di Perugia che indagavano  sugli  appalti   per   il   G8  di “conoscere da tempo il Cardinale Sepe” tra l’altro anche quest’ultimo finito nel mirino dell’inchiesta nella sua ex veste di Prefetto a Propaganda Fide.

Tanto è vero che lo stesso alto prelato – in questi giorni – mette le mani avanti: “In alcuni casi sono stati sequestrati nostri appezzamenti, dove le forze dell’ordine hanno rinvenuto rifiuti tossici.

La Curia farà uno screening perché episodi del genere non si ripetano, dobbiamo esigere chiarezza”. Insomma la conversione ecologista di Sepe è miracolosa.

E’ un prodigio. Occorre iniziare una pratica di beatificazione, c’è poco da fare. Certo sono quisquilie se da un’inchiesta sul consorzio Eco4, una società mafiosa controllata dai fratelli Orsi, dai Bidognetti e, secondo l’accusa, da Nicola Cosentino, strumento per assumere persone gradite ai potenti emerge che due nipoti dell’arcivescovo  Crescenzio Sepe furono assunti.

Con tarallucci e vino tutto si confonde, si mimetizza, si capovolge. Allora può accadere di ascoltare un risoluto cardinale Sepe che dice: “Chi inquina non è in grazia di Dio e non può fare la comunione”. Titoloni dei giornali, news, dirette. Si, ma che significa in concreto?

Che il prete prima di dispensare la comunione deve consultare una banca dati e scoprire chi inquina e chi no? La terra dei fuochi è una strana storia fatta di vuoti di memoria, di smemoratezza, di cassetti chiusi per 20 anni, di documenti dimenticati, di nessuno sapeva e tutti sapevano ed ora anche di nuovi e inediti Masanielli ecologici che indossano la berretta.

Arnaldo Capezzuto

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