“Salviamo il giornalismo di qualità, Google e Facebook devono pagarci i diritti” La lettera di corrispondenti e inviati europei in vista del voto al Parlamento Europeo sui diritti connessi

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Pubblichiamo la lettera aperta al Parlamento Europeo scritta dal giornalista francese Sammy Ketz, capo dell’ufficio di Baghdad della AFP, in vista del voto sulla regolamentazione del diritto d’autore nei confronti delle grandi piattaforme digitali, che si terrà a inizio settembre. All’appello per il riconoscimento dei cosiddetti “diritti ancillari” (o diritti connessi) a chi produce i contenuti giornalistici distribuiti da piattaforme come Google e Facebook, aderiscono centinania di inviati e corrispondenti europei (in calce l’elenco completo).

Stavo facendo un reportage a Mosul, l’ex capitale del gruppo dello Stato Islamico, sui bambini che tornavano a scuola, chiusa per tre anni dai jihadisti, e stavo pensando a come potevo raccontare al meglio l’incommensurabile gioia dei ragazzi di ritrovarsi sui banchi di scuola di questa città martoriata. Un diritto che gli era stato negato per anni. Ero seduto con il fotografo, il videomaker e l’autista di AFP in un ristorante prima di tornare a Baghdad, quando ho letto un articolo sui dibattiti europei dei “diritti connessi”. Questo articolo ha attirato la mia attenzione.

Ero appena arrivato in Iraq per la terza volta dopo l’invasione statunitense del 2003. Avevo attraversato in lungo e in largo per cinque anni una Siria distrutta dalla guerra, dove in diverse occasioni avevo schivato pallottole che arrivavano da ogni dove e rischiato la vita. In più di 40 anni di carriera da inviato, ho visto diminuire progressivamente il numero di giornalisti su campo, mentre i pericoli sono aumentati inesorabilmente. Siamo diventati bersagli e le nostre missioni costano sempre di più. Sono finiti i giorni in cui si andava in guerra in giacca, o in maniche di camicia, una carta d’identità in tasca, accanto al fotografo o al videomaker. Oggi c’è bisogno di giubbotti antiproiettile, auto blindate, a volte di guardie del corpo e assicurazioni per evitare di essere rapiti. Chi paga queste spese? I media, ed è un costo pesante.

Benché i media paghino cifre elevatissime per inviare giornalisti sul campo, professionisti che tra l’altro rischiano la vita per produrre un servizio di notizie affidabile, completo e diversificato, questi non raccolgono nessun profitto. Le piattaforme online ne traggono invece beneficio senza pagare nulla. È come se tu lavorassi, ma una terza persona raccogliesse spudoratamente il frutto del tuo lavoro. Se dal punto di vista morale è già ingiustificabile, dal punto di vista della democrazia lo è ancora di più.

Quanti amici hanno smesso di raccontare e di scrivere perché i loro media hanno chiuso o non potevano più pagarli. Fino a quando hanno riposto le loro penne o le loro macchine fotografiche, abbiamo condiviso la terribile sensazione di nasconderci dietro un muro che tremava sotto i bombardamenti, la gioia indescrivibile di riuscire a raccontarlo, di poter dire al mondo la “verità” che avevamo visto con i nostri occhi, gli incontri straordinari con i “signori della guerra” e i loro uomini armati che sorridevano mentre giocavano con le pistole o i pugnali osservandoci mentre facevamo domande ai loro capi. E poi, il triste dolore davanti ai civili intrappolati, le donne che proteggevano i loro bambini mentre i proiettili raschiavano le pareti del rifugio in cui avevano trovato una breve protezione.

I media hanno sofferto molto prima di reagire, lottando con le conseguenze piuttosto che con la causa. I giornalisti vengono licenziati al punto di arrivare a volte ad una situazione grottesca: un quotidiano senza giornalisti. I media chiedono che i loro diritti siano rispettati per poter continuare ad informare, chiedono che gli introiti delle vendite vengano condivisi con coloro che producono i contenuti. Questo è il significato di “diritti connessi”. Dobbiamo smettere di credere alla menzogna diffusa da Google e Facebook che la direttiva sui “diritti connessi” minaccerebbe l’accesso ad Internet gratis. No, Il libero accesso ad Internet durerà perché i giganti della rete, che attualmente usano i contenuti editoriali gratuitamente, possono rimborsare i media senza chiedere ai consumatori di pagare alcunché.

Difficile? Impossibile? Niente affatto. Facebook ha realizzato profitti per 16 miliardi di dollari nel 2017 e Google 12,7 miliardi. Devono semplicemente pagare le loro quote. In questo modo i media sopravviveranno e i titani di Internet contribuiranno alla diversità e alla libertà di stampa a cui si dichiarano legati.

Sono convinto che i deputati, che sono stati ingannati da lobbying non veritiere, ora capiscono che la gratuità di Internet non è a rischio. La posta in gioco è la libertà di stampa perché se i quotidiani non avessero più giornalisti, non ci sarebbe più quella libertà a cui i parlamentari, a prescindere dalle loro inclinazioni politiche, sono legati. Innumerevoli volte ho incontrato persone bloccate, isolate, indifese, che mi hanno chiesto solo una cosa: Rracconta quello che hai visto, così avremo la possibilità di essere salvati”. Dovrei rispondergli: “No, non ti illudere, siamo gli ultimi giornalisti, presto non ci saremo più, spariremo per mancanza di denaro?”.

È noto che Facebook e Google non assumono giornalisti e non producono contenuti editoriali ma vengono pagati per la pubblicità legata ai contenuti prodotti dai giornalisti. Ogni giorno, i giornalisti indagano su tutti gli aspetti della vita per informare i cittadini di tutto il mondo. Ogni anno vengono premiati i giornalisti più coraggiosi, intrepidi e di talento. Non possiamo permettere che questo saccheggio continui ad impoverire i media indebolendo il reddito a cui hanno diritto. Rischiamo di arrivare ad un punto di non ritorno quando non ci saranno più premi da assegnare per mancanza di candidati.

È tempo di reagire. Il Parlamento europeo deve votare in modo schiacciante a favore dei “diritti connessi” per la sopravvivenza della democrazia e uno dei suoi simboli più importanti: il Giornalismo.

*AFP Bagdad Bureau Chief, Bayeux Calvados-Normandy Prize for War Reporters 2003, Albert Londres Prize 1988

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