E’ sempre più evanescente la leadership di Luigi Di Maio e non solo nel Movimento 5 Stelle ma soprattutto al timone del Governo.
L’ex statista di Pomigliano d’Arco sembra ormai rassegnato di fronte alla valanga leghista. I suoi discorsi puntualmente urtano contro i muri eretti da Matteo Salvini, sempre più il vero capo del Consiglio dei ministri.
Ora il leader del Carroccio si è messo in testa di smontare il decreto Dignità voluto fortissimamente da capo dei Pentastellati. L’irrigidimento delle norme volte al perseguire il contratto a tempo indeterminato per chi è assunto in flessibilità dopo i due anni di contratti è finito sul banco degli imputati.
Pesa la rivolta dei titolari delle piccole e medie imprese a trazione settentrionale che chiedono a gran voce l’introduzione di una maggiore flessibilità.
La richiesta delle Lega è un vero guanto di sfida o meglio una provocazione che i grillini rimandano al mittente. Tanto è vero che nel corso di un summit a Palazzo Chigi convocato da Di Maio con i ministri 5 Stelle sono stati piantati dei paletti invalicabili.
Si parte con il conflitto di interessi. Al centro del confronto anche le misure sul salario minino – nuova bandiera del Movimento – e il taglio della pressione fiscale.
Poi l’avvertimento alla Lega per le voci di un progetto di modifica del decreto Dignità: “Il decreto dignità non si tocca. Chi rivuole ampliare la portata dei contratti a termine, sottopagando i lavoratori e altro può rivolgersi a Renzi. Il Jobs act è stata una delle peggiori legge mai fatta negli ultimi 20 anni”.
La sensazione è di un Di Maio snobbato e poco ascoltato dai colleghi di Movimento e dallo stesso alleato leghsita.