È ancora drammaticamente sul tavolo la vertenza della Whirlpool. La società vuole togliere le lavatrici dallo stabilimento di via Argine di Napoli.
A rischio 430 lavoratori e l’indotto, una vera e propria mazzata per un Mezzogiorno che continua a impoverirsi e sprofondare in una terribile crisi economica.
Il Mise offre una maxi decontribuzione così da rendere lo stabilimento partenopeo più appetibile e così eliminare quel gap che induce l’azienda a delocalizzare la produzione di elettrodomestici in Polonia.

Tra le opzioni, invece, avanzate dall’azienda quella più praticabile allo stato è la riconversione industriale con l’addio alle lavatrici. Non è un passo in avanti e neppure indietro, si sta fermi. Il tutto comincia il 31 maggio scorso con la Whirlpool che annuncia la cessione del ramo d’azienda con probabile chiusura del sito industriale.
Il ministro Luigi Di Maio ha offerto una norma da approvare nei prossimi giorni che permetterebbe a Whirlpool di avere una decontribuzione per 17milioni di euro nei prossimi 15 mesi, non pagando tasse su contratti di solidarietà.

Alla fine è solo un piccolo palliativo, la crisi è inarrestabile. La Whirlpool ha specificato in una nota cosa ha portato al tavolo, a partire dal “dettagli del calo di volumi produttivi delle lavatrici di alta gamma prodotte a Napoli – da circa 700mila a 269 mila pezzi dal 2009 ad oggi – verificatosi nonostante gli investimenti pari a circa 100 milioni di euro effettuati negli ultimi anni”.
Nel preambolo della società si ricorda che “lo stabilimento – che dal 2011 beneficia di ammortizzatori sociali – attualmente opera al di sotto del 40% della sua capacità produttiva”, una situazione definita “non sostenibile”.
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