Non ha avuto brillantezza. Non è riuscito a contrapporre un discorso di sostanza. È apparso impacciato, sconclusionato, ferito.
Il gigante Matteo Salvini, il carismatico ‘Capitano’, – ieri nell’Aula del Senato – è sbattuto contro gli scogli.
Il capo del Carroccio è apparso spento, demotivato, sofferente. I ceffoni del premier Giuseppe Conte hanno lasciato il segno sul suo volto.
Il presidente del Consiglio ha sfoggiato stile, eleganza, una dose di smemoratezza che hanno asfaltato il ministro dell’Interno.
Ciò che è apparso lampante è stata la mediocrità dei concetti espressi da Salvini, il ghigno nervoso, i gesti poco coordinati con le parole.
Qualcuno ha evocato l’immagine del pugile suonato o di chi ha sorseggiato troppo mujito.
Salvini ha mostrato e manifestato uno stato confusionario. Posizioni e ragioni politiche traballanti. Argomenti poco convincenti. A netto della sceneggiata del bacio del Rosario.
Slogan da piazza e da lido balneare che poco c’entravano con il Senato detta anche Camera Alta appunto per discorsi importanti, argomentati e di prospettiva.
Lacune politiche che riportano Salvini nella sua realtà, nel suo vissuto ovvero cresciuto nel vivaio della Lega Nord all’ombra di Umberto Bossi e Roberto Maroni ma facente parte della guagliunera leghista.
Salvini ha fatto cilecca. Parole stanche, poco convincenti a tratti una cantilena di cose dette e ridette. Senza entrare e spiegare il merito della sua sterzata della rottura di Ferragosto.
Non è un segreto: Salvini ha rotto l’alleanza di governo nella piena solitudine. I colonnelli della Lega non sapevano nulla. Hanno appreso la decisioni a cose fatte dalle agenzie.
Una follia politica che ha avuto solo il merito o demerito politico di ridestare un cadaverico Movimento 5 Stelle e rimescolare le carte del Paese che si prepara ad essere inghiottito da una crisi economica seria.
Salvini e la sua Lega resteranno all’opposizione di un eventuale nuovo governo. Il Carroccio non gode di ottima salute.
A parte la bolla mediatica e le stanche uscite pirotecniche del suo leader per guadagnare titoli, il partito ha grossi problemi finanziari, il peso di inchieste giudiziarie e correnti interne che non hanno mai visto di buon occhio la svolta nazionale di Salvini.
E sibillino Giancarlo Giorgetti sorridendo sarcastico a chi gli chiede se adesso si aprirà o meno la resa dei conti: “Nella Lega non c’è dibattito, non c’è democrazia. Decide un capo”.
Arnaldo Capezzuto