Uccise Luigi Galletta, 22 anni, nell’officina dove ogni giorno si spaccava la schiena nel riparare scooter e moto in via Carbonara a Napoli. Nessuna pietà. Un paio di colpi sparati a bruciapelo.
Così muore un bravo ragazzo. Nessun grillo per la testa con la schiena dritta e tanti sacrifici, tanti. Luigi Galletta, l’ennesima vittima innocente di camorra. Una guerra infinita e tanto sangue innocente che imbratta Napoli.
Luigi Galletta aveva scelto la disciplina ferrea del lavoro, la dignità di tenere le mani sporche di grasso nei suoi amati motori, pistoni, carburatori, ammortizzatori e circuiti elettrici.
Un lavoro-passione unito alla grande bravura e talendo di un giovane che forse per la prima volta nella sua vita aveva programmato un viaggio di piacere che non era mai riuscito a fare.
Il killer infame, non ebbe tentennamenti e nella sua missione di morte uccise a sangue freddo quel giovane innocente, estraeo ai circuiti di criminalità, camorra e storie di clan. La sua colpa? Avere una parentela lontana con una mezza calzetta di un clan avverso.
Qualche giorno prima un commando lo aggredì, picchiandolo brutalmente, lo sottoposero ad interrogatorio per conoscere segreti, luoghi, strategie dei nemici.
In lacrime Luigi raccontò solo la verità: non conosceva nessuno, non aveva rapporti con quel suo lontano parente, lui l’unica cosa che sapeva fare era stare chinato a riparare le moto.
Gli dettarono un ultimatum: “Ritorniamo devi dirci tutto, vuotare il sacco altrimenti…sei morto”. Luigi non sapeva nulla. Non conosceva nessuno. Non fu creduto. Lo conciarono male.
Tornato a casa per non far preoccupare la famiglia disse che era scivolato mentre stava riparando una moto. Nessuna denuncia. Il tempo di riprendere fiato, mangiare un boccone e con le ecchimosi ritornò a lavoro. Abnegazione, senso del dovere, etica della fatica.
Qualche giorno prima il capo del clan, il boss emergente Emanuele Sibillo, 21 anni, era stato ammazzato dalla parte avversa: i Buonerba. Allora il clan reagì: Fu decisa la guerra casa per casa. Una guerra senza guardare in faccia a nessuno. Luigi Galletta divenne così il primo della lista.
Pagava il non aver saputo dare informazioni ai Sibillo per le loro spedizioni mirate contro i Buonerba. Assurda ferocia. Toccò ad Antonio Napolitano, 17enne con il mito della camorra, impugnare il revolver. Era il 31 luglio 20015 e in via Carbonara il clima era già pesante.
Qualche commerciante d’esperienza, con lo sguardo lungo capì che l’aria era pesante e precauzionalmente alle 19 in punto abbassava la saracinesca.
Napolitano fa irruzione nell’officina. Pochi istanti e parte la raffica. Così muore un innocente. Così è morto Luigi Galletta.
La ‘paranza dei bimbi’ con l’appoggio del clan Rinaldi con quell’omicidio cercava di lanciare un segnale, riprendersi il Rione Forcella e avviare la controffensiva vedicativa contro i Buonerba e i Mazzarella. Fece fuoco ammazzando un 21enne sporco di grasso e con l’unica preoccupazione: fare bene il meccanico.
In Primo grado Antonio Napolitano è stato condannato a 18 anni di carcere, ieri la Corte d’Assise d’appello del Tribunale dei Minori di Napoli ha confermato la condanna.
Che cosa sono 18 anni di carcere? Nulla. È una reclusione giusta? Certo occorre la rieducazione, il reinserimento. Cosa sono 18 anni di carcere? Luigi Galletta, un figlio buono di Napoli non c’è più. La mamma e il papà non ha più lacrime, non hanno più voce, non hanno più Luigi.
Arnaldo Capezzuto