Emergenza economica. Come lo spieghiamo al governo che esistono milioni di giovani che lavorano in nero?

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Non è legale, si sa. Spesso però è una scelta forzata e inevitabile. O così o niente. Riguarda il sud, ma molto spesso anche il nord. È il dramma di cui al momento non si può parlare, perché, e ben venga che sia così, in questo stato di emergenza nazionale ora è sacrosanto il tentativo di salvare il salvabile, provvedendo con manovre straordinarie per dare ossigeno all’economia regolare di questo paese. Prima o poi però, dovremmo fare i conti con una realtà: l’economia sommersa; nello specifico, milioni di persone che lavorano senza nessuna forma di contratto che li tuteli.

Fasce enormi di popolazione che si arrangia, che non ha nessuna garanzia di assistenza. Se è vero che qualsiasi settore sociale deve e dovrà stringere la cinghia sopportando e resistendo, è vero anche che questa potrà essere l’occasione per trattare pubblicamente anche il segreto di pulcinella. In molti non avranno nessun aiuto restando a casa, nessuna quota di disoccupazione, indennizzo di malattia e cose simili.

Tante persone lavorano “accontentandosi” di rimborsi spese forfettari, di quattro pidocchi dati sotto le lusinghe di eterne promesse del tipo “più in là le faremo il contratto”, un “più in là” eterno. I tanti “apprendisti”, “stagisti”, quelli con “accordo stipulato tra le parti” con la sola stretta di mano, e tutti gli altri mille modi per dire ai lavoratori “Senti, o questo o niente! Li vuoi si o no ‘sti 600 euro al mese senza contratto?”. Il lettore perdonerà il linguaggio diretto, poco giornalistico, ma bisogna dire le cose con chiarezza. Parliamo secondo l’istat, di un valore che si aggira intorno ai 211 miliardi di euro. Poche caramelle, vero?

Le unità di lavoro irregolari (quelle osservate) sono 3 milioni e 700 mila. Quasi 4 milioni di persone che non reggeranno perché campano lavorando in nero. Quattro milioni di persone di cui troppi senza scelta. L’evasione fiscale è un reato e tanti ne approfittano senza dubbio, ma sia chiaro, molti preferirebbero invece essere in regola senza l’angoscia da precariato. “Unità di lavoro” è questa la definizione tecnica.

Sono padri di famiglia, sono ragazzi, sono tanti giovani laureati, molto probabilmente anche tu che stai leggendo sei una di quelle “unità di lavoro”. Per queste “unità” fatte di sangue, scadenze da pagare, ansie, insicurezza del domani, come funzionerà? Le aziende che pagano in contanti e che ora diranno loro “mi dispiace assai per te”, quelli che hanno rimborsi occasionali senza partita iva, quelli che pur di resistere si sono fatti mettere i piedi in testa lavorando ore e ore senza diritti per quei pochi soldi necessari a sopravvivere, che fine faranno? Che sia il coronavirus l’occasione anche per affrontare questo dramma.

Ciò che non viene scritto talvolta, è che soluzioni come il reddito di cittadinanza non bastano, anche perché molti di questi ragazzi, per cavilli burocratici o per calcoli millesimali del reddito, per appartenenza a nuclei familiari, ecc, non lo percepiscono nemmeno questo reddito! Il sunto della questione è questo: l’effetto devastante dal punto di vista ora sociologico e ora psicologico di questo virus sia anche l’occasione per lo Stato di avere il coraggio nel guardarsi allo specchio e dirsi, finalmente “vogliamo mettere in regola, una volta e per tutte, il mondo dei sommersi?”.

Amedeo Zeni

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