Cita il Mahatma Gandhi, l’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, per dire la sua sulle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere che hanno portato a 117 indagati tra dirigenti dell’amministrazione penitenziaria e agenti, di cui 77 sospesi.
“Mi oppongo alla violenza perchè, quando sembra produrre il bene, è un bene temporaneo; mentre il male che fa è permanente”, la dichiarazione che l’arcivescovo richiama alla memoria collettiva.
“Le aggressioni commesse da alcuni agenti della polizia penitenziaria non solo sono una violazione della nostra Costituzione che attribuisce alla pena un carattere rieducativo e ai sistemi detentivi di essere fedeli principi di umanita’ – aggiunge – ma rappresentano anche un uragano che ha travolto in modo grave tre comunità a cui sento la necessità di far giungere la mia vicinanza: la comunità dei detenuti, traumatizzati e feriti dalla violenza ma anche danneggiati nel loro percorso educativo alla cui base non può che esservi la costruzione di un’autentica fiducia nei riguardi dello Stato e di coloro che lo rappresentano, fiducia gravemente minata da quanto accaduto”.
“La comunità della polizia penitenziaria, composta per la grande maggioranza da uomini e donne onesti, che adempiono lealmente il proprio dovere, spesso in condizioni di lavoro difficili e poco curate dal punto di vista psicologico; la comunita’ delle famiglie degli agenti coinvolti, anch’essa travolta dalle pagine di cronaca e provata psicologicamente dal timore di ritorsioni e vendetta”.
Come vescovo di una città “con un enorme numero di detenuti, sento il dovere di ringraziare i cappellani degli istituti penali, i tanti volontari e tutti coloro che per ruolo istituzionale e spirito di solidarieta’ lavorano per rendere il carcere un luogo sempre piu’ umano e umanizzante”.
Ma anche “di invocare dal Signore per tutti la grazia di imparare da quanto accaduto affinche’ mai piu’ si verifichino episodi del genere”. Poi una preghiera perchè Dio doni “a tutti i detenuti la certezza della sua misericordia”, agli agenti di polizia penitenziaria e a tutto il personale carcerario “la certezza della sua presenza”, a Napoli “la capacità di non chiudere gli occhi dinanzi alle difficolta’ di coloro che vivono e lavorano nelle nostre carceri”, e alla Chiesa di “riconoscere sempre nel recluso il volto ferito del Cristo Crocifisso e in coloro che lo assistono nella lealtà le mani tese del Samaritano venuto a ricucire le ferite del male”.