Le mani dei clan sugli ospedali a Napoli, un sistema criminale, che riusciva a condizionare ed entrare negli appalti pubblici. Una camorra che sotto questo punto di vista somigli amolto alla mafia siciliana.
La parola d’ordine era infiltrarsi, coinvolgere, attrarre a se insospettabili, avvicinare responsabili d’uffici e imprenditore. Una ragnatela d’interessi, una ‘governance’ tragata camorra spa.
A scoperchiare la pentola la Procura della Repubblica di Napoli che ha accertato come i funzionari dei più importanti nosocomi partenopei, come il ‘Cardarelli’, l’azienda “dei Colli” e il ‘Nuovo Policlinico’, “cucivano” gare d’appalto addosso a imprese in stretti contatti con il clan Cimmino-Caiazzo incaricato dalla potente ‘Alleanza di Secondigliano’ di taglieggiare le ditte che fornivano servizi per quelle strutture.
Delinea un preoccupante spaccato di connivenza e di pervasivo controllo malavitoso, anche nel settore della sanità pubblica cittadina, l’indagine della Procura distrettuale antimafia e della Squadra Mobile di Napoli che oggi hanno notificato 48 misure cautelari nei confronti di altrettanti indagati: 36 in carcere, 10 ai domiciliari (perlopiù dipendenti pubblici ed ex sindacalisti) e 2 divieti di dimora in Campania.
I destinatari sono presunti appartenenti alla criminalità organizzata, imprenditori e anche funzionari pubblici. I settori ai quali la camorra imponeva la sua pressione sono i più disparati: dal trasporto degli ammalati alle onoranze funebri, dalle imprese di costruzione e di pulizie fino a quelle che si occupano della refezione e dell’installazione dei distributori di merendine e bibite.
Ovviamente non potevano non versare il “pizzo” i parcheggiatori abusivi che facevano i loro affari nei pressi dei nosocomi. Un cliché già noto, quello adottato per “costruire” gare di appalto ad hoc per le ditte: nel caso di quella per i distributori automatici di cibo e bevande nel Policlinico è emerso che, in cambio di mazzette, il bando, grazie a un ex sindacalista, sarebbe stato fatto pervenire su una pen drive una impresa “amica” ritenuta legata alla camorra.
Dopo averli visionati, i documenti venivano modificati dai rappresentanti della ditta e poi restituiti nelle mani dei funzionari pubblici per la revisione finale. Tra le mazzette che sarebbero state pagate oltre al denaro, figurano anche ingressi gratis in discoteca e in spiaggia e auto.
Il quartiere del Vomero a Napoli, raccontano i pentiti di camorra, non poteva essere solo dei clan di zona. C’erano gli ospedali e l’intessere doveva essere ben diviso.
Sopra tutti c’era l’Alleanza di Secondigliano, ma sotto il cartello decine di cosche. Otto clan: oltre ai Licciardi, i Lo Russo, i Cimmino-Caiazzo, i Polverino, gli Abate, i Saltalamacchia, i Frizziero, i Veneruso. Ognuno di loro incassava soldi e li riversava al ‘sistema’.
La potenza economica e militare è stata sempre del clan Licciardi e in particolare del gruppo legato al boss Maria, già in carcere.
Giovanni Caruson, un affiliato al clan Lo Russo, per poter parlare con Maria Licciardi, pur essendo un personaggio di spessore, doveva fermarsi al ceck point della Masseria Cardone. Doveva essere autorizzato. E cosi’ fu anche quando Caruson ando’ a salutare in segno di rispetto il marito di Maria Licciardi, Antonio Teghemie, scarcerato una settimana prima; lui lo fece entrare, ma gli ribadi’ l’ordine di restare allineato alle direttive dei Licciardi.