Quello di Alma Shalabayeva non fu un sequestro di persona. A decretarlo è stata la Corte d’appello di Perugia che, annullando le condanne del primo grado, ha assolto con la formula più ampia, “perché il fatto non sussiste”, da quel reato Renato Cortese, il poliziotto degli arresti di Bernardo Provenzano e Giovanni Brusca, Maurizio Improta e un gruppo di loro collaboratori con i quali, nel maggio del 2013, guidavano la squadra mobile e l’ufficio immigrazione della questura di Roma.
Una sentenza accolta da un abbraccio tra Cortese e Improta, poi apparso visibilmente commosso. Ma anche dagli applausi di tanti loro colleghi presenti in aula per sostenerli. Per l’avvocato Ester Molinaro difensore di Cortese insieme a Franco Coppi la sentenza “è una pagina di grande giustizia”.
“E’ però anche la conferma – ha aggiunto – che questo processo non doveva proprio essere iniziato. Il fatto non sussiste significa che l’impianto accusatore è stato completamente sradicato dimostrando che la procedura era corretta”.
Oltre a Improta e Cortese l’assoluzione ha riguardato l’allora giudice di pace Stefania Lavore (dall’accusa di falso è statata l’estraneità al sequestro che era già nella sentenza di primo grado), gli ex funzionari della mobile romana Luca Armeni e Francesco Stampacchia e quelli dell’ufficio immigrazione Vincenzo Tramma e Stefano Leoni. Tutti dichiarati estranei alle accuse per le quali erano stati condannati.