Compiuto un nuovo passo avanti sulle terapie per i bambini affetti da Atrofia Muscolare Spinale (SMA): si è scoperto, infatti, che le forme più gravi sono associate anche ad alti livelli di infiammazione del sistema nervoso centrale, simile a quella che si riscontra in malattie neurodegenerative della terza età come il Parkinson e l’Alzheimer, e quindi affiancare la somministrazione di antinfiammatori alla normale terapia farmacologica potrebbe aumentare l’efficacia delle cure.
Il risultato, pubblicato sulla rivista Communications Medicine, è stato ottenuto nei laboratori del Ceinge di Napoli, in collaborazione con l’americana Columbia University e le Università Luigi Vanvitelli e Federico II, insieme agli Ospedali pediatrici Bambino Gesù di Roma e Giannina Gaslini di Genova.
La SMA è una patologia rara contraddistinta dalla morte precoce dei motoneuroni, ovvero le cellule nervose che trasportano i segnali dal sistema nervoso centrale ai muscoli. Per questo motivo, la malattia determina atrofia muscolare progressiva e fragilità.
“È ormai ampiamente accettato che non esiste ancora una vera e propria cura per la malattia”, spiega Alessandro Usiello, docente all’Università Vanvitelli, direttore del Laboratorio di Neuroscienze del Ceinge e ideatore della ricerca.
“Per questa ragione, l’identificazione di specifiche alterazioni associate alla gravità della malattia è fondamentale, non solo per l’efficacia delle terapie, ma anche per lo sviluppo di nuovi farmaci. I risultati ottenuti rivelano per la prima volta la presenza di infiammazione nei bambini affetti dalla forma più severa della malattia, ma non in quelli che hanno le tipologie meno gravi”.
“In particolare, abbiamo riscontrato un aumento significativo dei livelli di diverse citochine pro-infiammatorie (IL-6, IFN-γ, TNF-α, IL-2, IL-17) e di fattori neurotrofici (PDGF-BB e VEGF) nel liquor dei pazienti SMA1, quando comparato a quello dei pazienti SMA2 e SMA3, che presentano livelli di queste molecole comparabili a bambini sani”, specifica Francesco Errico, associato di Biochimica dell’Università Federico II-Dipartimento di Agraria e Co-Direttore del Lab di Neuroscienze Traslazionali CEINGE.
“Questo ci suggerisce che l’utilizzo di antinfiammatori potrebbe migliorare i benefici del farmaco utilizzato attualmente, il Nusinersen”, afferma Tommaso Nuzzo dell’Università Vanvitelli e Ceinge , che ha guidato lo studio, “ed eventualmente anche di altri trattamenti che possono favorire la sopravvivenza dei motoneuroni”.
La ricerca, pubblicata su Communications Medicine (Nature Group)*, si è svolta in collaborazione con uno dei massimi esperti al mondo di SMA, Dr Livio Pellizzoni, Capo Laboratorio presso il Motoneuron Center della Columbia University (New York), Angela Chambery, professore ordinario di Biochimica Generale della Università Vanvitelli e i neurologi e pediatri Dr Enrico Bertini, Dottoressa Adele D’Amico e Dr Claudio Bruno, degli Ospedali Pediatrici Bambino Gesù di Roma e Giannina Gaslini di Genova, massimi esperti italiani di SMA.