Grillo e Conte, mattatori della kermesse Italia 5 Stelle. Di Maio, impalpabile sembra il nipotino di Berlusconi

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L’Arena Flegrea di Fuorigrotta a Napoli è assiepata di festanti supporter, il palco, i mega schermi, i leader che parlano.

La kermesse è la solita kermesse di partito. I toni sono trionfanti, i leader sono sul palco, ne segue il comizio, si annuncia una nuova generica riorganizzazione di 70/80 persone, non si sa chi siano, chi li sceglie, cosa debbono fare e alla fine chi comanda veramente cioè sempre gli stessi.

Chiacchiere, chiacchiere e ancora chiacchiere. Niente spazio alle critiche e se ci sono dissidenti e portatori di una idea diversa ovvero originaria del Movimento peggio per loro: non a caso Paola Nugnes, figura storica del primo Movimento, l’unica della vecchia guardia ad opporsi alla deriva leghista è stata cacciata a calci in culo.

Qui comandiamo noi questo sembra l’adagio. Perfino il poco coraggioso Roberto Fico sembra aver ammainato la bandiera ortodossa. E poi se nel corso di 14 mesi disastrosi si è fatto tutto e il contrario di tutto va bene così. Altro che rivoluzione, altro che anniversario.

Qui nulla c’entrano gli anni degli albori del Movimento 5 Stelle. Tra l’altro per spaccare il capello in quattro non c’è nei fatti una continuità giuridica con questa avvertura politica, le associazioni sono cambiate come del resto lo statuto.

Alla fine Luigi Di Maio sembra un piazzista, un imbonitore, espone idee (lui le chiama cosi) – per la verità poche e confuse – ormai come tono e tecnica comunicativa somiglia al primo Silvio Berlusconi anzi pare un suo nipotino soprattutto nel modellare la voce.

L’unico momento vero quando gli attivisti dell’ex opg hanno per un attimo rotto la liturgia e riportato il leader tra la gente chiedendo di fermare la vendita della armi alla Turchia.

Una politica meno empatica, molto marketing, più fiction, una narrazione che tende alla mitizzazione e una impalcatura di cartapesta. È sembrato più vero – visti anche gli applausi e il successo riscosso – il premier Giuseppe Conte ormai punto di riferimento credibile e acclamato dalla platea grillina. Mastica amaro Di Maio ma non è la gerarchia, l’organizzazione o il cerchio magico a stabilire i valori e il carisma di un politico.

Alla fine Beppe Grillo fa la differenza, non edulcora, non nasconde, non si sposta di un millimetro. Accetta le critiche, anzi è spietato con l’agire del Movimento, evidenzia, ironizza e sferza. Capovolge l’ineluttabile e spariglia le carte. È il mattatore, trascina, e si rivolge a sorpresa alla platea pronunciando quel Vaffa proprio al Movimento diventato un po’ casta e da sempre autoreferenziato.

Lancia dal palco un sasso nello stagno per rompere quell’immagine fissa dove tutti si rispecchiano, è la sindrome narcisistica a 5 Stelle. Grillo non è stato il garante, ieri sera, è stato un padre.

Ha visto dei rischi seri anzi assiste al continuo specchiarsi dei tanti nello stagno, innamorati della loro immagine e destinati a finirci dentro e affogare. Basta con il pensiero unico, le correnti, i personalismi, i mammasantissimi quelli che si sentono un gradino sotto Dio.

Il primo segnale sarebbe quello di ammettere di aver sbagliato e riconettere la storia con chi è stato costretto a lasciare il Movimento.

Arnaldo Capezzuto

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