La settimana prossima il Comune di Napoli intitolerà un largo a Fabio Maniscalco in viale dei Pini (Colli Aminei). So che il 90% di chi mi legge non sa chi sia.
Chi è Fabio Maniscalco? Un archeologo napoletano che ha collaborato con la Procura di Napoli in casi riguardanti la tutela del patrimonio culturale. Ufficiale dell’esercito italiano ha monitorato la situazione del patrimonio culturale in Bosnia, Albania, Jugoslavia, Albania, Kosovo, Medio Oriente, Algeria, Nigeria, Iraq e Afghanistan, infiltrandosi nel mercato clandestino dell’arte e riuscendo a recuperare numerosi reperti archeologici trafugati.
Un’opera di sensibilizzazione, la sua, contro le distruzioni e i traffici illeciti da parte delle organizzazioni criminali che per primo chiamò “archeomafie”.
Un’attività instancabile, precisa, continua, che gli valse molti riconoscimenti, più all’estero che in Italia, fino alla candidatura al Premio Nobel per la Pace nel 2008.

Grazie a lui si applicò per la prima volta l’articolo 7 della Convenzione dell’Aja per la protezione dei beni culturali sul teatro di scenari colpiti da conflitti.
Nel 2007, a causa delle attività condotte in Bosnia ed Erzegovina negli anni Novanta, si ammala per una forma rara di cancro del pancreas causata dall’esposizione con metalli pesanti e uranio impoverito.
Muore l’anno dopo. Nel 2009 è stato riconosciuto “vittima del dovere” dal Ministero della Difesa. Uomo coraggioso, non perde la voglia di studiare, progettare, tutelare, nemmeno a pochi giorni dalla fine nella sua stanza di ospedale. Il suo esempio ci conferma che la cultura è uno strumento di pace.
Mi piace ricordare una sua frase: “La distruzione del ponte di Mostar ha impressionato il mondo, ma molto più gravi sono stati il saccheggio e l’incendio della Biblioteca nazionale di Sarajevo. I muri si possono anche ricostruire, ma libri e manoscritti?”.
Claudia Procentese da FB
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