Coronavirus. Ci salverà l’intelligenza? Non si tratta di essere credenti, si tratta di essere umili

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Non è una questione di templi e sacralità, non è una questione di culti, è una questione di capacità di percepire un messaggio. D’altronde perfino un vero ateo, non è contro Dio, semplicemente si ritiene libero di non credergli ma sa che la vera sensatezza è saper ascoltare. Tutto il resto, è semplicemente incapacità nel comprendere.

“Pensavamo rimanere sempre sani in un mondo malato. Non ci siamo fermati davanti a guerre e ingiustizie planetarie. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”.

Sono state queste le parole del Papa nella preghiera speciale per l’emergenza sanitaria in una San Pietro che appare come un deserto di paure umane ma allo stesso tempo di speranze.

L’occasione che apparentemente coinvolge l’intero pianeta terra, è in verità un momento individuale davvero troppo importante per essere sottovalutato. Non possiamo definirlo prezioso forse, perché sono migliaia le persone che in queste ore stanno morendo.

Tantissime opportunità interrotte da un epilogo che nessuno di noi si aspettava così globale, così pregnante nell’essenza della collettività mondiale.

C’è chi ha fede, c’è chi non ne ha, per entrambi, per atei e per religiosi, questa è un’occasione di spiritualità. Nel senso etimologico del termine! Un raccoglimento culturale scevro dai condizionamenti dei dogmi ora religiosi, ora politici, ora filosofici.

È lo stesso concetto di morte che spinge ognuno a valutare l’insieme degli elementi che caratterizzano i modi di vivere e di sperimentare realtà spirituali, a essere messe in discussione sono le mille modalità con cui ci approcceremo alla realtà.

Ecco, è questo il momento storico, quello dove siamo arrivati impreparati in uno stato di deprivazione della fiducia e dell’uguaglianza che forse può aver compreso solo chi ha vissuto la guerra, le condanne a morte o le pestilenze. Ci si chiede in queste ore se risorgeremo vittoriosi o falliti da questa esperienza, ma anche in questo caso la scelta spetta a noi.

Dal punto di vista sociologico, l’inedita condizione di una pandemia mondiale può tramutarsi in un’inevitabile presa di coscienza delle condizioni mentali individuali che ora più che mai, ci sta insegnando la necessità di contare e investire nella diffusione del bene condiviso.

La prevaricazione, la necessità di adorare se stessi, la rabbia sociale, potranno, e si spera dovranno, tenere conto della caducità umana, del fatto che glorie e violenze sono nulla in confronto alla sopravvivenza comune, e questa condizione grida a gran voce che si sopravvive con l’interesse verso l’altro, verso chi ci è accanto, verso chi ci è distante. C’è un solo male che sembra incontaminabile e inscalfìbile: l’ignoranza.

Investire nell’odio e nella prosaicità delle prepotenze non porta a nulla e che ci piaccia o no, questa storia sta spiegando questa inutilità nel migliore dei modi. Potremo imparare a metterci in dubbio, a dire “non ho capito” e non “è come dico io!”, potremo liberarci da preconcetti, da convinzioni che ci rendono saccenti e sicuri di esprimere verità assolute, poiché se nemmeno il fetore dell’estinzione ci avrà insegnato ad ascoltare questo mondo, allora ben venga la fine di tutto.

La società mondiale potrà essere salva davvero quando capirà che il denaro, nella sua allettante bellezza, prima o poi viene speso per l’acquisto di bare.

Ecco quindi cosa si intende per spiritualità, la capacità di raccoglimento, di ascoltare il cadenzare del tempo imparando con riconoscenza ad apprezzare e a fare la più rivoluzionaria delle azioni: pensare. La fretta, l’inconsistenza stessa delle veloci volontà moderne, ci ha proibito fin troppo spesso di questo dono, ci ha reso analfabeti e incapaci di interpretare la lettura che ci ha dettato la storia. Stiamo avendo l’opportunità di sfruttare il tempo, ascoltarlo, interiorizzandone i benefici.

Quando si apriranno le porte della ritrovata libertà, i nostri cervelli potranno e dovranno impedire il dilagarsi delle ignoranze, dalle più piccole alle più grandi, una disinfestazione delle banalità, del superfluo, da manifestarsi anche nella concretezza delle cose: impedire lo sfruttamento lavorativo, il dire di no alla velleità di essere al centro del mondo sulle spalle di chi non ha potere decisionale ed economico.

La libertà di osare, di denunciare e ribellarsi contro chi, pur senza epidemie, ci costringe ad essere precari, isolati, incapaci di progettare. La libertà e il coraggio di non essere più “io” ma di cercare con umiltà e partecipazione il valore del “noi”.

Tutto dipenderà dalla nostra voglia di ascoltare il silenzio della debolezza che aleggia in questo periodo. Sarà il fissare nuovi scopi per il benessere collettivo l’unico vero dogma da seguire. Anche se ora ci sembra difficile da capire, questa, qualora decidessimo di arrenderci finalmente all’ascolto, non potrà che essere una cosa buona. Per tutti.

Amedeo Zeni

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