L’evasione del boss Raffaele Cutolo dall’Opg di Aversa aiutò la nascita del patto Cesaro-Puca. Fu il papà del senatore ad aiutare il padrino a scappare

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Tutto si tiene. Il tempo senza giustizia e verità non passa. I segreti inconfessabili diventano potere da gestire e ricatto da perpetuare. È un testacoda da brividi. Mille e cinquecento pagine d’ordinanza della Dda di Napoli, 59 arresti, oltre 100 indagati, politica, camorra, imprenditori, funzionari pubblici, professionisti, boss e killer tutti a remare indistinti e nella stessa direzione.

L’inchiesta ‘Antemio’ è un atto d’accusa che affonda le sue radici tossiche nel modus operandi brevettato negli anni Ottanta dal padrino Raffaele Cutolo, oggi 78enne.

Un romanzo criminale che parte dalla Nco, la nuova camorra organizzata, che nella ricostruzione del dopo terremoto del 1980 sancisce il suo salto di qualità: calcestruzzo, appalti, affari, stratificazioni, saldature, segreti e conquista delle istituzioni.

Solo un sindaco capì, comprese con ferma intelligenza lo spaventoso quadro d’insieme. Quel disegno criminale-affaristico e golpista andava contrastato anche a costo di pagare le estreme conseguenze. Decise con fredda consapevolezza di opporsi.

Lanciare un pugno di sabbia negli ingranaggi, tentare di sabotare, lasciare in eredità alle nuove generazioni una traccia indelebile di onestà. Lungimiranza, sacrificio e sangue innocente versato.

Marcello Torre a mani nude affrontò quel mostro a tante teste che oggi riemerge in quelle 1500 pagine di ordinanza. Sembra una macchina del tempo impazzita. Il nome di Raffaele Cutolo come in un incantesimo maledetto torna prepotentemente. Il reticolo del potere sagomato pazientemente 40 anni fa da Cutolo è intatto.

È Ferdinando Puca, esponente di rango della cosca di Sant’Antimo e spietato killer del boss Francesco Verde detto ‘o Negus, a vuotare il sacco e comincia a raccontare ai magistrati verità sconvolgenti che hanno inizio proprio dagli anni cutoliani.

Riempie verbali e verbali, spiega, dettaglia, argomenta: esiste una saldatura tra il boss Pasquale Puca detto ‘O Minorenne e la famiglia dei Cesaro. Rapporti economici, investimenti, interessi industriali e nei fatti una società unica che collega il clan Puca e la famiglia Cesaro: Centro Igea, affare della Texas Instruments di Aversa, Galleria commerciale ‘Il Molino’ alle Colonne di Giugliano e aziende di costruzione.

Come è possibile? Quando è nato questo rapporto con la cosca dei Puca? Il collaboratore di giustizia ricostruisce la fitta trama di rapporti, conoscenze e convivenze partendo dai lontani anni Ottanta.

“Premetto che fino agli anni ’80 la figura apicale del clan di Sant’Antimo è stato ‘o Giapponese ovvero Giuseppe Puca (ammazzato poi il 7 febbraio 1989) affiliato alla Nco – racconta Ferdinando Puca – e che aveva rapporti con Francesco Cesaro, padre di Luigi, Aniello, Raffaele e Antimo. La loro amicizia si rafforzò perché Giuseppe Puca e Francesco Cesaro aiutarono il boss Raffaele Cutolo ad evadere dall’OPG di Aversa, piazzando una carica esplosiva nella parte esterna che squarciò le mura permettendo così la fuga del boss”.

“Dopo l’uccisione di ‘O Giapponese, il suo posto verrà preso da Pasquale Puca detto ‘O Minorenne – continua il collaboratore di giustiziache strinse un patto di ferro con i figli di Francesco Cesaro”.

Ferdinando Puca parla ai Pm con piglio deciso e mettendo a fuoco i vari argomenti.

“I Cesaro ebbero una forte crescita imprenditoriale grazie ai Puca – sottolinea – tutti gli affari, tutti gli investimenti sono stati fatti sempre con il solo Giuseppe Puca del quale i Cesaro divennero i prestanome”.

“Ricordo che nel 2011 appena sono stato scarcerato – aggiunge Puca – fui convocato dai Cesaro tramite mia zia Teresa Puca che non a caso lavorava dai Cesaro insieme alla sorella, in qualità di domestiche, e in quanto mie zie. Ebbi due convocazioni la prima presso il centro Igea dove Antimo Cesaro detto Penniello, mi diede 10mila euro quale regalo per la mia scarcerazione”.

“In quell’occasione mi chiese di adoperarmi per arginare le richieste estorsive dei Ranucci in particolare di Pietro Di Biase e dei suoi ragazzi – afferma il pentito – ai danni di Raffaele Grappa e del padre di quest’ultimo a me noto con il soprannome di cap e rezzin che sono degli imprenditori edili utilizzati dai Cesaro per interfacciarsi con i clan”.

“Mi spiego meglio i Grappa erano caduti in disgrazia poi entrati nelle grazie di Pasquale Puca e dei Cesaro sono diventati la faccia imprenditoriale dei Cesaro ai quali subappaltavano i lavori non solo su Sant’Antimo ma anche sugli altri territori. Dopo il mio intervento dissi a Grappa che avevo convinto i Ranucci a portargli solo i panettoni e le colombe”.

Sono trascorsi 40 anni e tutto si tiene ancora attorno alla storia scritta da Raffaele Cutolo che con il decreto ‘Cura Italia’ per l’emergenza coronavirus ha tentato la strada degli arresti domiciliari.

Il vecchio boss ci sperava di lasciare il carcere e il regime del 41bis. Ma il giudice del Tribunale di sorveglianza di Bologna è stato inflessibile ed ha respinto il ricorso motivandolo con un secco: “ha ancora carisma e resta un simbolo”. Parole marchiate a fuoco anche e soprattutto alla luce della sconvolgente inchiesta ‘Antemio’.

Arnaldo Capezzuto

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