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UN PIZZINO DI CARTA velina arrotolato. Un nome appuntato: Aldo Scalzone. A dare l’ordine al killer di compiere quell’omicidio fu Antonio Schiavone, fratello del capo dei Casalesi

il più noto Francesco Sandokan Schiavone. Questa storia sembrava una storia già archiviata. Una sentenza aveva scritto la parola fine a un omicidio, uno dei tanti, in Terra di Lavoro. Invece puntuale il colpo di scena.

A finire in manette è stato proprio Antonio Schiavone. L’uomo è stato fermato davanti alla sua casa di Giugliano – giovedì mattina 24 ottobre – dagli agenti della squadra mobile di Caserta diretti dal vice questore Alessandro Tocco.

Poi scarcerato perchè il reato non può essere reiterato e non c’è il rischio di inquinare le prove. A riaprire le indagini e fornire un racconto particolareggiato e vivo su quel delitto è stato Cipriano D’Alessandro, ex killer dei casalesi, ora collaboratore di giustizia. Non perde tempo. Dal buio dei ricordi spiega per filo e per segno i retroscena di un omicidio eccellente avvenuto il 20 ottobre del 1991.

Doveva morire Aldo Scalzone, imprenditore molto conosciuto a San Cipriano D’Aversa, noto con il nomignolo dell’ “avvocato”, da sempre collegato a doppia mandata al neo gruppo scissionista dei Casalesi facente capo a Vincenzo De Falco, ex luogotenente della cosca. Sono gli Schiavone a decretarne la condanna. Il motivo è sufficiente a scatenare una guerra di camorra. L’uomo viene sospettato di aver “spiato” ai carabinieri il luogo di un summit. Era il 13 dicembre del 1990.

C’era una riunione a casa dell’assessore del Comune di Casal di Principe Gaetano Corvino. Nell’appartamento dell’amministratore parteciparono all’incontro riservato i capi dei capi dei Casalesi: Francesco Schiavone, il cugino Francesco Bidognetti e Mario Iovine. Una telefonata anonima avverte i carabinieri. Scatta il blitz che porta dietro le sbarre tutti i presenti tranne Iovine che riesce a scappare.

I padrini capirono che qualcuno li aveva traditi. I sospetti ricaddero sull’ex luogotenente con mire espansionistiche Vincenzo De Falco e appunto il factotum economico del neo gruppo criminale: l’imprenditore Aldo Scalzone. Per quell’omicidio la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere il 29 ottobre di nove anni fa emise una sentenza di condanna all’ergastolo per Francesco Sandokan Schiavone, il fratello Walter e Giuseppe Diana. Condannato anche Franco Di Bona ma a 13 anni. Chiusa la vicenda giudiziaria. Sembrava di si. Invece – siamo a pochi mesi fa- D’Alessandro decide di pentirsi.

Una scelta di vita. Tanto è vero che l’uomo nel corso di un interrogatorio, nonostante l’assoluzione su tre gradi di giudizio, si è attribuito l’omicidio proprio di Scalzone. D’Alessandro si sofferma su chi gli diede l’ordine di uccidere: “Fui incaricato di compiere l’omicidio da Antonio Schiavone”. Confessione choc. Antonio Schiavone conosciuto come “o’ frat e Sandokan” è rimasto sempre e solo sullo sfondo in tutti questi anni di potere dei Casalesi.

La sua fedina penale è immacolata. Proprio pochi mesi fa ha incassato l’assoluzione dall’accusa di concorso esterno in associazione camorristica. Il suo lavoro è di agricoltore. É proprietario di alcune terre a Cancello Arnone ed è titolare di un’azienda agricola. Non compare. Non parla. É di poche parole. Sempre dietro le quinte. Ama i suoi nipoti e sta sempre con loro.

Diversi pentiti però gli attribuiscono un certo carisma, un’autorevolezza senza pari. D’Alessandro scandisce bene le parole, le arricchisce con scene viste e vissute nel corso dell’interrogatorio: “Antonio mi diede un pizzino di carta velina che riportava l’ordine che bisognava uccidere al più presto Aldo Scalzone”. Il comando fu perentorio e per D’Alessandro si concretizzava una grande occasione: quella di consacrare l’appartenenza ai Casalesi con un omicidio.

Un ordine non si discute. A mostrare però dei tentennamenti e dubbi fu inaspettatamente – così riferisce sempre D’Alessandro – il cugino di Sandokan, Carmine che riferì come Scalzone fosse collegato a fantomatici servizi segreti e forze dell’ordine. Occorreva avere la certezza che ci fosse campo libero. Allora attraverso un ispettore infedele del commissariato di Aversa i Casalesi raccolsero informazioni.

Alla fine l’omicidio fu commesso. D’Alessandro racconta le fasi di quel delitto: “Avevo un fucile a pompa e una calibro 12 – racconta a verbale – non appena Scalzone giunse in auto – aveva una Fiat Croma – nei pressi dell’edicola per acquistare i giornali feci fuoco sparandolo al volto e all’addome”.

Il ruolo di Antonio Schiavone sembra essere stato davvero determinante. Per ora i giudici dopo l’arresto l’hanno scarcerato. Leindagini proseguono. É stato lui – secondo il racconto di D’Alessandro – a raccogliere direttamente dal gotha della cosca dei Casalesi, cioè i padrini Francesco Schiavone detto Sandokan e Francesco Bidognetti, l’ordine per l’agguato e trasmetterlo. C’è da giurarci che i segreti della cosca non finiscono qui.

Arnaldo Capezzuto

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