E’ TORNATO A NAPOLI, dopo 7 anni, per la presentazione del suo secondo lavoro d’inchiesta, edito da Feltrinelli, “Zero, zero, zero”. Roberto Saviano, l’autore di “Gomorra”, ritorna super scortato da dove era forzatamente partito per il timore di attentati da parte del clan dei Casalesi. Il suo ritorno a Napoli riaccende anche le polemiche. Una storia, la sua, in bilico tra il ‘santo ed il diavolo’ secondo molti. E’ stato accusato di essere un morbo molto più insidioso della camorra, di aver buttato fango su una città già tanto martoriata, qualcuno lo ha etichettato come “uno speculatore e furbetto che si è arricchito raccontando i mali di Napoli”, sfruttando le sofferenze di questa città. Certo è che quando gli fanno indossare quei vestiti da santone, quasi stucchevole, Saviano somiglia molto a quel “mito” che molti partenopei mal sopportano. Raccontare i mali che sembrano inabissare questa città, in un baratro dal quale pare molto difficile risalire, è un dovere per chi sceglie di voler denunciare.
I rischi ci sono, soprattutto se si raccontano così dettagliatamente le trame dei rapporti criminali, si fanno nomi, cognomi, si pubblicano reportage così doviziosamente ricchi di particolari.
Il rischio che vive, chiunque decida di scrivere la verità, chi sceglie di schierarsi dalla parte del ‘giusto’, riportando senza ombre quello che si è deciso di raccontare, è un pericolo con cui fare i conti ogni giorno.
Ma Saviano, spesso, sembra guardare da troppo lontano, sembra essersi arroccato in una torre d’avorio, con un faro puntato dritto su Napoli, per svelarne le trame criminali più nascoste e recondite.
Scendere da quella torre significherebbe rischiare di più, questo è ovvio, ma forse darebbe ai partenopei e non solo una prova della sua vicinanza reale a questa città, perché loro difficilmente riescono a capire come mai, un uomo che ha sempre esibito come un vessillo il suo amore per Napoli, poi abbia eretto un muro attorno a sé, quasi come un predicatore che parla dal pulpito, dispensa ammonimenti, prediche un po’ troppo scontate, e poi non scende mai tra la folla.
Il best seller “Gomorra” ha contribuito a far conoscere alla gente la pericolosità dei Casalesi svelando il loro immenso potere. Un lavoro di conoscenza che ha accesso l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica infliggendo una ferita mortale alla cosca casertana, anche i più schierati contro lo scrittore non possono non riconoscergli questo grande merito.
Roberto Saviano oltre ad essere scrittore è ancora di più personaggio che suscita sentimenti di amore, odio, indifferenza. Il suo “sbarco” nella sua Napoli non è passato inosservato: più di mille persone hanno affollato l’area antistante la libreria Feltrinelli di Ponte di Tappia per il suo ritorno, il ritorno del figliol prodigo.Quando è comparso sul palco, per la presentazione del suo nuovo e atteso libro, è stato accolto dai cori della folla “Bentornato Roberto” e cartelli su cui c’era scritto “Napoli abbraccia Saviano” che hanno così salutato l’autore di Gomorra.
Emozionato e teso come una molla è riuscito a biascicare qualche parola giusto per rompere il ghiaccio: “Mi manca il fiato”. E prima di lui addirittura Carlo Feltrinelli l’ha introdotto dicendo ai suoi fans: “Ho mantenuto la promessa di riportarlo nella sua città”. E Roberto qualche sassolino dalle scarpe l’ha voluto togliere: “Sopporto il dolore personale di essere considerato uno che racconta fango, quante cose avrei voluto dire in questi anni”.
E poi il passaggio su Napoli: “Non mi andava di arrivare qui per un’altra ragione che non fossero le parole, il mio lavoro. Ho immaginato molte volte questo momento. Non credevo che fosse possibile essere qui a questa Feltrinelli che è stata sempre per me un punto d’incontri”. “A Napoli ho ancora molti amici che sentono il peso di dovermi difendere da una città che non mi ama. “Speculatore”. ‘Ti sei arricchito sulle disgrazie della tua città’. ‘Furbo, furbetto, furbone’. ‘Hai detto il noto, hai venduto l’invenzione dell’acqua calda’. ‘Ti sei appropriato del lavoro di tutti noi’. ‘Scampiamoci da te’.
Queste le accuse che mi sono state rivolte. Che ho percepito negli sguardi, tra le mezze parole sussurrate e quelle urlate. Parole che vengono rivolte spesso, anzi sempre, a chiunque venga letto, ascoltato, seguito oltre una misura che la città non tollera. Perché parlare di Napoli si può, ma devi farlo a Napoli, con i napoletani. Eppure tutto questo per me è sempre stato inaccettabile”.
Filomena Indaco
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