DUE NOMI: Pippo Fava e Giancarlo Siani. Destini incrociati e stessa trama: colpire a morte chi racconta le verità. Ho avuto la fortuna di ritrovare sulla mia strada parte della corazzata de “i Siciliani”,
il glorioso mensile inventato da Pippo Fava, giornale rivoluzionario nel linguaggio, nei contenuti, nelle battaglie e la Mehari, l’auto di Giancarlo Siani ora simbolo di libertà e memorie.
Sono radici, sedimenti. Mi abbevero di questa linfa per tenere la schiena dritta e guardare in faccia i fatti. “A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare” ripeteva con ostinazione Pippo Fava ammazzato dalla mafia a Catania il 5 gennaio del 1984.
Il suo “coraggio di lottare” lo ha pagato con la vita, come con la vita lo ha pagato il 23 settembre del 1985 Giancarlo Siani. Catania-Napoli, il Sud di un Sud dove eroismi e senso profondo di una professione danno dignità a storie di rottura pagando un prezzo altissimo.
E’ il prezzo di dire “no” e opporsi al puzzo maleodorante del compromesso, del sistema del potere per il potere, alla retorica delle parole vuote, alla illogicità delle tre scimmiette. Si paga tutto e con gli interessi.
Sono convinto che Pippo e Giancarlo hanno trasmesso una eredità pesante e importante che continua a vivere e a produrre frutti. Sono passati 30 anni e non inutilmente.
La vita di una persona è scandita e segnata anche dagli incontri che si fanno: belli e brutti che siano. Accade allora come mi è accaduto di trovarmi davanti le idee, le intuizioni, le genialità di Pippo Fava attraverso i suoi redattori storici – cito solo due nomi e che nomi – Riccardo Orioles e Giovanni Caruso e gli amici del Gapa.
E’ proprio vero le battaglie dei grandi uomini continuano a camminare su altre gambe. Se ogni cronista avesse un proprio Pantheon di riferimento ecco Pippo e Giancarlo occuperebbero la cima. Come si fa a concepire una professione così puttana come quella del giornalismo senza aver assorbito, metabolizzato, digerito i loro insegnamenti?
E’ un vaccino. Il maledetto mestieraccio non può essere altro. Se è altro non è giornalismo ma intrallazzo. Pippo Fava aveva trascorso la vita contrastando mafie di ogni natura, non smettendo mai di fare nomi e cognomi, contestualizzando gli eventi, riportando alla luce quello che avrebbe dovuto restare nascosto, invisibile agli occhi della pubblica opinione.
Lo hanno ammazzato perché non si era lasciato intimidire e aveva usato la parola recitata e scritti per colpire i mafiosi, i loro mandanti, i loro protettori, nella politica e nelle istituzioni, locali e nazionali.
Il suo impegno, il suo lavoro, il suo amore per la verità sono diventati spartiacque. Adesso c’è un prima e un dopo. Un cronista adesso può scegliere da che parte stare. Quella storia minoritaria, quella storia randagia, quella storia in discontinuità, quel giornalismo vero continua e non si è mai fermato.
E’ una irritante gramigna che nonostante censure, i pochi mezzi economici, le non poche difficoltà continua a riattecchire fastidiosa e urticante.
Ecco sicuramente Pippo Fava, Giancarlo Siani e con loro i tanti morti ammazzati dalle mafie e dalle camorre, avrebbero tanto apprezzato e partecipato con i loro “pezzi” chi vive e continua a coltivare il “coraggio di lottare”.
Sono passati 30 anni e non inutilmente.
Arnaldo Capezzuto