C’è la Mehari, simbolo delle storie in cammino, spezzate e riannodate. L’auto senza tempo, senza difese, che a braccia aperte come Giancarlo Siani, ucciso dalla criminalità organizzata 34 anni fa, il 23 settembre 1985, continua a percorre chilometri e chilometri di strada per raccontare e raccontarsi.
Attorno alla Mehari verde di Giancarlo, è stata allestita la ‘Sala della Memoria’ al Pan di Napoli. È un luogo dove il tempo non ha dimensione, un punto di approdo e di ripartenze, un modo per non dimenticare la responsabilità e il dovere che ciascuno ha con chi ha pagato con la vita anche a nostro nome.

Alle pareti le foto del giovane cronista abusivo de ‘Il Mattino’, ritratto in famiglia o con gli amici e quelle delle tante vittime innocenti di camorra in Campania, ben 180 e oltre 460 in tutta la Campania. Praticamente una guerra civile. I loro nomi sono affrescati sulle volte della sala del Museo Pan.
Su di un’altra parete i volti di 28 giornalisti ammazzati nel compimento del loro lavoro-dovere, da Ilaria Alpi a Graziella De Palo a Giuseppe Impastato, Pippo Fava, Giovanni Spampinato, e un pannello a cura di Ossigeno per l’Informazione, l’osservatorio sui giornalisti minacciati, che ricorda come è cominciato nel 2013 il viaggio della Mehari quando l’auto in cui Siani fu trucidato fu rimessa in circolazione per una staffetta della legalità e riconnetterla con quella storia.

Ciò che però ha colpito in occasione dell’anniversario, della premiazione e del lancio della Fondazione Giancarlo Siani, presieduta dai suoi unici nipoti Gianmario e Ludovica che si occuperà dei temi più cari a Giancarlo, sono state le parole di Giovanni Melillo, capo della Procura di Napoli e amico del cronista ucciso.
Erano amici e sono rimasti amici, insieme, giocavano a palla a volo e vivevano la vita di due giovani con i loro sogni, desideri e aspettative. Melillo frequentava Siani conosceva bene la Mehari, ricorda le passeggiate con Giancarlo a bordo di quell’auto di libertà.
Le parole pronunciate da Melillo sono sorprendenti e pesanti. Tutti conoscono la ferrea riservatezza e parsimonia del magistrato partenopeo nel parlare. In un Pan affollatissimo – a pochi metri dalla ‘Sala della Memoria’ – il breve discorso di Melillo è caduto improvviso, inaspettato, sorprendente. Parole pesate, cesellate e con precisi contorni e riferimenti.
“La Mehari l’ho vista, ho circolato e la vedo oggi come monumento alla memoria di coloro i quali hanno perso la vita. Si dice vittime innocenti è già triste che si sia costretti a fare differenze tra vittime innocenti e vittime non innocenti ma è un dato di fatto che ciascune di quelle vittime soprattutto le vittime innocenti interrogano ciascuno di noi, interrogano le istituzioni e in particolare le istituzioni scolastiche” sottolina il capo della Procura di Napoli.
“È necessario fare per rispettare il dovere di ricordare e interrogano anche le istituzioni giudiziarie, le istituzione deputate all’accertamento delle responsabilità per ciascuno dei fatti delittuosi”.
Poi la denuncia che è una constatazione: “Molte di quelle vittime non hanno avuto giustizia, molte delle famiglie hanno visto la loro vita stravolta e non hanno mai conosciuto la verità. È un obbligo ricercare la verità per ciascuno di questi gravi accadimenti delittuosi”.

Giovanni Melillo tira il fiato e alle parole pronunciate con calma, pacatezza aggiunge altre che mettono i brividi in platea, contraggono il volto di Paolo Siani, dei tanti che gli sono vicini in questi anni difficili, di ricerca disperata della verità e dell’esigenza di sopravvivere in modo pacificato a una tragedia senza fine.
“Persino per la morte di Giancarlo Siani – spiega Melillo – vi sono ed è sottolineato in tutti gli atti processuali, anche in quelli che hanno consentito di giungere a giudizi definitivi di responsabilità, ancora margini importanti per individuare ulteriori responsabilità per la morte di Giancarlo Siani”.
Il silenzio scende improvviso sul Museo Pan. Il brusio scompare. Occhi fissi su Melillo. È come se tutti contemporaneamente trattengono il fiato per alcuni secondi. È apnea.

Il magistrato, l’investigatore, l’inquirente riconosciuto da tutti come talentuoso e attento dice, racconta, sussurra che a distanza di 34 anni dall’uccisione di Giancarlo Siani – con turbolenti indagini, stalli improvvisi, piste investigative percorse e poi abbandonate, riapertura del caso, arresti, confessioni di pentiti, sentenze passate in giudicato – attorno alla sua morte ci sono ancora “margini importanti per individuare ulteriori responsabilità”.
Senza tentennamenti Melillo conclude : “Naturalmente come cittadino sento in prima persona l’obbligazione della memoria e anche per una responsabilità di dirigere un ufficio che ha il dovere di continuare a cercare la verità e questo dovere, consapevolezza e gravosità di questo dovere e quanto cosegno a voi questo giorno”.

Spiegherà Paolo Siani a chi gli chiede un commento sulle parole di Melillo: “Quello che manca nella vicenda processuale di Giancarlo è il nesso con la politica che pure emerge nelle indagini del pm Armando D’Alterio”.
I dubbi, le perplessità su tutta la vicenda di Giancarlo Siani la solleva nel 2010 con una approfondita, puntuale e attenta inchiesta giornalistica a puntate Roberto Paolo, cronista di giudiziaria e ora vicedirettore de ‘Il Roma’. Roberto Paolo svela – con un lavoro millimetrico – retroscena inediti dell’omicidio del cronista, arrivando a fare i nomi di mandanti ed assassini diversi da quelli attualmente condannati. E sulla base dei suoi articoli la Procura di Napoli riapre il caso dopo 25 anni, indagini ancora in corso.

E nel novembre del 2014 pubblica un libro-inchiesta ‘Il caso non è chiuso. La verità sull’omicidio Siani’, edito da Castelvecchi, nel quale fa nuove rivelazioni inedite su mandanti ed esecutori dell’assassinio del giornalista napoletano.
A questo lavoro in controtendenza e non molto amato, seguirà un altro recente libro scritto da Paolo Miggiano: ‘NA K14314. Le strade della Mèhari di Giancarlo Siani’, edito da Alessandro Polidoro.
Per la prima volta in questo testo vengono riportati brani di un dossier-libro di Giancarlo Siani, un manoscritto – che per anni è stato cercato inutilmente – dove non si parla solo di camorra ma dell’intreccio tra politica, economia e importanti soggetti portatori di robusti interessi finanziari.
Uno spaccato che messo in realzione alle parole di Melillo, al lavoro di Paolo e dello stesso Miggiano con urgenza dicono che è ancora più fotye e impellente “il dovere di continuare a cercare la verità”.
Arnaldo Capezzuto
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