Come era quel fatto? Dopo il Coronavirus saremmo stati migliori. Sto cazzo. Nel furore giovanile maledicevo chi allargava le braccia e diceva rassegnato con un filo di voce: “Cosa credevi, siamo in Italia”.

La gioia per la liberazione di Silvia Romano, 24 anni, rapita nel novembre 2018 e rilasciata sabato in Somalia, è durata poche ore. Si è alzata un’onda lunga di fango, infamie, volgarità, maldicenze che stanno sommergendo questa giovane volontaria che ama l’Africa, l’umanesimo e giura di ritornarci al più presto.

Branchi sciolti con gli occhi iniettati di sangue e la bava alla bocca si sono fiondati sulla giovane milanese e stanno tentando di addentarla, contagiarla del virus rancoroso che li infetta.
È il tripudio dell’odio, dello scherno, della volgarità contro Silvia, ‘colpevole’ di aver abbracciato la religione islamica e di aver manifestato il desiderio di ritornare in quelle terre dove per un anno e mezzo è stata nelle mani dei suoi rapitori, il gruppo terroristico Al Shabaab.
Una conversione per scelta e quindi il cambio del nome in Aisha. Fatti privati, scelte personali, decisioni intime che hanno fatto scatenare una sorta di lapidazione digitale, una violenza impressionante che tiene banco da 48 ore tanto da cominciare a preoccupare l’intelligent.

È massima l’allerta, si controllano i profili social e si passano al setaccio i commenti per ‘pesare’ le minacce che come uno tsunami stanno travolgendo la 24enne. La famiglia di Silvia fa da scudo protettivo e neppure si aspettava tanto risentimento e violenza.
È una Paese allo sbando, disperato con forze politiche impegnate ad aizzare il branco e poi fuggire da dove vengono : le fogne.
Per i prossimi 14 giorni la giovane dovrà rimanere in isolamento domiciliare. In queste ore si sta valutando quale tipo di tutela, fissa o mobile, assegnare alla giovane cooperante ora che si trova a Milano. Si attende la decisione della Prefettura come fanno sapere alcune fonti delle forze dell’ordine.
Arnaldo Capezzuto
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