Lo scorso 25 Febbraio al Teatro Bolivar di Napoli, all’interno del cartellone degli eventi targato Nu Tracks, è andato in scena lo spettacolo “Mi chiamo N.” scritto e diretto da Massimo Piccolo, interpretato dall’attrice Noemi Gherrero con le musiche originali di Eunice Petito. Un monologo emblematico che ruota intorno alla figura di Nina Simone che analizza la tematica al femminile del “dover esser per poter apparire”. Un testo che spazia nella sua ampia visione, tra tematiche differenti, legate all’estetica e alla socialità. Le “ periferie dell’anima”, come le definisce l’autore, si dividono tra drammaticità e meraviglia, restituendone un linguaggio quantomai attuale e riflessivo.
Massimo, il tuo monologo teatrale ha deciso di andare incontro ad una tematica molto attuale, quasi quotidiana, soprattutto tra nuove generazioni e nuovi “modelli”, quella dell’estetica forzata ad un dover assolutamente apparire. L’elaborazione e la scrittura dell’opera sono stati un lavoro ponderato e perfezionato o avevi già una tua struttura su come realizzare il tutto?
In realtà è stato quasi un flusso di coscienza, quando Noemi (Gherrero) mi ha raccontato della sua passione per Nina Simone, di come nutrisse per lei una vera ammirazione e del desiderio di portare in scena una storia che in qualche modo l’avvicinasse alla grande cantante di Trono, non avevo per niente chiaro dove questo mi portasse. Sapevo solo che non mi interessava portare in scena un testo biografico ma, come sempre accade, una volta abbozzato il personaggio di N. mi ha condotto per mano a scoprire il suo universo, drammatico e meraviglioso al tempo stesso.
La scelta di proporre lo spettacolo proprio in occasione dei 90 di Nina Simone non è stato un caso. Giusto?
In realtà sì… il progetto è nato lo scorso anno e io, sinceramente, sono molto poco attento alle ricorrenze.
L’arte è maggiormente una via di fuga o può essere talvolta interpretata come una chiusura di un percorso e quindi una finalizzazione di ciò che vogliamo essere?
Credo che l’arte sia sempre e comunque una partenza, anche quando segna l’arrivo di qualcosa. Quando un libro è terminato ecco che inizia il viaggio del suo misurarsi con il mondo, quando scatti una foto bellissima è solo un momento quello che impieghi a sognare quella potrai fare dopo. È sempre e comunque un viaggio che serve a provare a capire non solo chi siamo ma perché ci è dato stare al mondo.
La scelta di contestualizzare l’opera in periferia e non in un luogo di “centralità”, ha un certo peso all’interno del monologo?
La periferia che racconto è quella che amo definire periferia dell’anima, tutte le donne sono N. (e per certi versi lo sono anche tutti gli uomini), indipendentemente dal luogo di nascita e dalle capacità economiche personali o familiari.
Le figure che ti accompagnano nell’opera, saranno Eunice Potito per le musiche e Noemi Sgherro per l’interpretazione. Come nascono questi sodalizi artistici e teatrali?
Noemi è mia amica da un bel po’ di tempo, dopo che ha lavorato con me in Dolly (la promessa) non abbiamo mai perso i contatti e aspettavamo solo il momento giusto per provare a realizzare qualcosa di bello insieme, Eunice l’avevo vista qualche tempo fa in teatro e mi aveva completamente affascinato con la sua sensibilità musicale. Con Mi chiamo N. ne ho potuto apprezzare anche l’enorme talento compositivo.
Nella società moderna assistiamo sempre più ad un esasperato bisogno di apparire, di mostrarsi. Esploso anche e soprattutto con i socia. La deriva lascia spazio ad un corpo sempre più esposto e spiattellato ormai ovunque. Il teatro può avere un atteggiamento di riflessione su questa questione?
Dalla società dell’apparenza nata negli anni ’80 e amplificatasi fino ai primi anni del nuovo millennio oggi siamo nel pieno della società della performance (che ne ha inglobati molti aspetti legati all’apparire) ancora più difficile da gestire, specie per i meno attrezzati e ogni approfondimento artistico può portare a riflettere e a ragionare.
Sergio Cimmino