Giustizia per l’eroe normale

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DOMENICO NOVIELLO fu trucidato con tredici colpi di pistola il 16 maggio 2008 a Castel Volturno, perché “colpevole” di aver denunciato, quando era difficile farlo,  sette anni prima gli estorsori che taglieggiavano la sua scuola guida. I killer il 4 dicembre scorso sono stati condannati all’ergastolo. Tre ergastoli per gli assassini di Domenico Noviello, il titolare di un’ autoscuola di Castel Volturno ucciso il 16 maggio del 2008 dal gruppo di fuoco del clan dei Casalesi, capeggiato da Giuseppe Setola.

Il giudice del Tribunale di Napoli, Isabella Iaselli ha emesso la sentenza al termine del rito abbreviato contro i tre esecutori dell’omicidio. Si tratta di Massimo Alfiero, Giovanni Bartolucci e Davide Granato. Alfiero fu uno degli esecutori: utilizzò due pistole semiautomatiche, sparando all’indirizzo di Noviello 25 colpi; Bartolucci fornì le armi mentre Granato avvisò il comando dell’arrivo della vittima sul luogo dell’agguato.

Domenico Noviello sapeva che prima o poi la camorra gli avrebbe fatto pagare le sue denunce. Indomito  continuò a credere nello Stato e nel difendere la legalità: un concetto non astratto ma fondato sulle buone pratiche. La sua unica preoccupazione era quella di tenere lontani i camorristi dai suoi figli, Mimma e Massimiliano.

Annotava tutto su di un diario: dopo l’agguato sua figlia lo consegnò agli inquirenti. Lì dentro c’erano i nomi di chi lo minacciava e di chi gli aveva chiesto di ritrattare le accuse nei confronti dei suoi estorsori. Domenico non si è piegato, schiena dritta sempre.

L’esecuzione raccontata dal sicario Grazie proprio anche a quelle testimonianze scritte – lo scorso 21 giugno – la Direzione distrettuale antimafia coordinata dal procuratore aggiunto Federico Cafiero De Raho ha dato un nome a mandanti ed esecutori di quel barbaro delitto. L’ala stragista dei Casalesi – che faceva capo a Giuseppe Setola – decise di uccidere Noviello per dare un segnale a tutti gli imprenditori di Caserta.

A svelare i retroscena e la logica criminale di quell’omicidio è stato il killer, alcuni pentiti e una testimone oculare che non ha avuto remore a dare il proprio contributo alle indagini.

Racconta il collaboratore di giustizia Oreste Spagnuolo: “Setola diede l’ordine a Massimo Alfiero di uccidere Noviello per verificare se poteva fidarsi di lui”. E il killer Alfiero spiega – durante la sua breve collaborazione – le fasi agghiaccianti dell’omicidio: “Lo colpii con il primo colpo al volto appena Noviello in auto svoltò a destra lo affiancammo e sparai subito altri quattro o cinque colpi; ricordo che lo colpii con il primo colpo al volto.

Scaricai l’intero caricatore, tredici botte in direzione di Noviello che cercò di mettersi al riparo  sdraiandosi sul sedile e poi strisciando verso l’esterno. Riuscì ad aprire lo sportello lato passeggeri per tentare la fuga uscendo dall’auto. Io a quel punto  scesi dalla vettura, girai intorno alla macchina di Noviello e gli sparai altri colpi della Beretta finendolo poi con un colpo alla testa. Era la prima volta che riuscivo ad uccidere qualcuno”. Noviello voleva reagire, era armato, aveva il porto d’armi dopo che gli fu revocata nel 2003 la vigilanza.

Genny Attira

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