NEL MIRINO del clan: Il pm Catello Maresca. “Il Pm può morire anche di malattia”. Minacce al magistrato Maresca. Il vivandiere di Zagaria intercettato a un colloquio. “Può essere che nel frattempo che faccio l’appello muore Maresca”.
La risata fragorosa accoglie la battuta di Vincenzo Inquieto, l’uomo che aveva ricavato nella sua abitazione di via Mascagni a Casapesenna, il covo dove si nascondeva il padrino latitante Michele Zagaria alias Capastorta, arrestato il 7 dicembre del 2011 dopo 15 anni di latitanza. Inquieto, condannato in primo grado – a quattro anni – per favoreggiamento, si riferiva al pm Catello Maresca, uno dei magistrati di punta del pool che indaga da anni e con importanti risultati sulla cosca dei Casalesi. “Voglio vedere cosa succede. Muore di malattia per cazzi suoi”, aggiunge nel colloquio in carcere mentre parla con i suoi parenti, che ridono di gusto.
La conversazione captata dalle microspie dell’anticamorra è stata allegata all’ordinanza che ha portato in cella, sempre per favoreggiamento e procurata inosservanza di pene aggravati dall’aver agito al fine di avere agevolato il clan dei Casalesi-gruppo Zagaria, anche la moglie di Inquieto, Rosaria Massa, 40 anni e uno dei fratelli del padrino, Antonio, accusato di associazione camorristica.
L’uomo già fu arrestato il 20 novembre scorso per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, avendo sempre ricoperto un ruolo verticistico nella consorteria camorrista, congiuntamente agli altri due fratelli Pasquale e Carmine – sino al loro arresto avvenuto, rispettivamente, il 28 giugno 2007 ed il 27 gennaio 2011 -, dopo la cattura di Capastorta, aveva preso in mano le redini del clan, gestendone personalmente le attività criminose, la cassa, le risorse finanziarie e la distribuzione degli stipendi ai familiari degli affiliati detenuti.
Le indagini sono state condotte dalla Squadra mobile di Caserta guidata da Alessandro Tocco con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia del procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho. L’inchiesta, scrive il giudice Maria Vittoria Foschini, ha delineato in maniera ritenuta “incontrovertibile” uno “strettissimo collegamento tra il covo in cui Michele Zagaria si nascondeva e l’abitazione familiare degli Inquieto in cui – scrive il gip – può ipotizzarsi che venissero preparati i pasti che il latitante quotidianamente consumava”. “Sono numerosi – continua ancora il giudice – i particolari che documentano il mantenimento di un rapporto di vassallaggio di Rosaria Massa con la potente famiglia di camorra”.
La donna parlando con il marito nel corso di un colloquio sempre in carcere, criticava le perquisizioni delle forze dell’ordine nell’abitazione di via Mascagni: “Cosa credevano di trovare le bombe” e la figlia 17enne: “Di Saddam Hussein”. Inoltre, Rosaria Massa, anche dopo la cattura del padrino, ha continuato a mantenere i contatti, attraverso un fitta corrispondenza epistolare, che confermava la familiarità dei suoi rapporti con Michele Zagaria e, quindi, la non occasionale presenza dell’ex latitante nel rifugio ricavato nella sua abitazione.
Sullo sfondo resta la rabbia ed i propositi di vendetta dei camorristi contro la magistratura. Non è la prima volta che il giovane magistrato Catello Maresca, autore del libro “L’ultimo bunker” in cui ha rivelato particolari investigativi dell’arresto dell’ex primula rossa dei Casalesi, finisce nel mirino dei clan. Nell’aprile di due anni fa fu Giuseppe Setola, ‘o cecato, il killer più spietato dei Casalesi, a dire – mentre si trovava nell’aula-bunker di Santa Maria Capua Vetere – rivolto al pm: “Teniamo tutti famiglia, dottore Maresca, voi dovete lasciare stare la famiglia mia!”.
Negli stessi giorni dei messaggi intimidatori rivolti al “giudice ragazzino”, il ministero della Giustizia – guidato all’epoca prima da Angelino Alfano e poi da Nitto Palma – con un provvedimento tagliò tutto il tagliabile, con il risultato che la procura di Napoli non aveva più i soldi per pagare gli straordinari agli uomini che guidavano le auto blindate. Addirittura magistrati in prima linea come lo stesso Maresca se finivano di lavorare oltre l’orario d’ufficio dovevano tornare a casa, a loro rischio e pericolo. Anche la domenica, se volevano uscire, dovevano farlo senza la protezione. Le intimidazioni non si sono fermate.
A maggio dell’anno scorso nel giorno del suo quarantesimo compleanno giunge puntuale l’ennesima minaccia di morte da parte della camorra. E per difendersi Maresca adotta il metodo di un suo ideale maestro il giudice Paolo Borsellino: “Ho pensato di comprare un quaderno per scrivere ogni giorno quello che vedo, quello che so: le complicità, i tradimenti, i sacrifici di tanti onesti. Mi è venuta voglia di scrivere un’agenda rossa”. Adesso nuovamente nel corso di un colloquio è stato tirato in ballo dal vivandiere di Zagaria che addirittura si augura la morte del giovane magistrato per una malattia.
Arnaldo Capezzuto