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E’ GIUSTIZIA VERA. E’ stata confermata in appello la condanna per Alberto Amendola e Giuseppe Avolio, accusati di aver eseguito l’agguato in cui, la mattina del 19 settembre 2010, fu brutalmente assassinata Teresa Buonocore. La madre coraggio di Portici si era costituita parte civile nel processo sugli abusi subiti da una delle sue figlie ad opera di Enrico Perillo, l’uomo che del delitto è ritenuto il mandante ed è stato condannato in primo grado all’ergastolo.

I giudici della Corte d’assise d’appello hanno confermato i 21 anni e 4 mesi di reclusione per Amendola e i 18 anni di reclusione per Avolio, le pene che furono inflitte ai due imputati al termine del primo grado con rito abbreviato.

I giudici hanno accolto la richiesta del sostituto procuratore generale, secondo il quale la sentenza emessa dal gup al termine del processo con rito abbreviato era equa. I familiari della donna uccisa subiscono una beffa: nonostante la conferma della condanna, le parti civili non hanno ottenuto alcun risarcimento; non era stato chiesto in primo grado dall’allora difensore e di conseguenza l’avvocato Francesco Cristiani, attuale avvocato di parte civile, non ha potuto chiederlo in appello.

Il verdetto è stato accolto con amarezza dalla sorella di Teresa Buonocore, Pina, tutrice delle nipoti, che ritiene troppo miti le pene comminate nei confronti dei due imputati. “Teresa è vittima più volte, in ogni udienza e in ogni processo fatto” spiega Pina Buonocore annunciando l’intenzione di continuare la battaglia legale per restituire giustizia alla memoria della sorella.

E’ emerso dalle indagini condotte dai pm Danilo De Simone e Graziella Arlomede con il procuratore aggiunto Giovanni Melillo che Teresa Buonocore, fu uccisa per essersi costituita parte civile nel processo contro il pedofilo che aveva abusato di una delle sue bambine. L’uomo, Enrico Perillo, ha sempre respinto le accuse ma è stato condannato in primo grado all’ergastolo come mandante del delitto. Secondo i giudici la decisione di assassinare Teresa Buonocore fu gesto “turpe, spregevole e vile secondo il comune sentire della coscienza collettiva”.

Nel dispositivo di primo grado si legge: “È nobile che la madre di una giovane vittima di un sì grave reato ne denunci l’autore e, costituendosi parte civile, agisca per garantire alla vittima quantomeno un risarcimento monetario”. Per i giudici, Perillo ha dato vita a “una escalation criminale” che non sembra essersi interrotta neanche con il più grave dei reati a lui contestati, vale a dire proprio l’omicidio.

L’omicidio, si legge ancora nelle motivazioni della sentenza di primo grado, fu commissionato da Perillo, che era in carcere per gli abusi sessuali, ad Alberto Amendola tramite una lettera criptata. “Fai fare i lavori alla casa in Calabria, trova il muratore adatto, la pala non ti manca; ci stanno 15.000 euro”. Il “muratore adatto” fu individuato da Amendola in Giuseppe Avolio. Condannati per omicidio a 21 anni Amendola e a 18 anni Avolio, al termine del processo con rito abbreviato.

Pier Paolo Milanese
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