Rosanna Ferrigno scrive una lettera al suo fidanzato, Pasquale Romano, ucciso dalla camorra il 15 ottobre del 2012, una vittima innocente, l’ennesima. Era al posto giusto nel momento giusto. Sono i killer del clan che non dovevano essere in quel luogo e non avere la libertà di uccidere.
Questa lettera è frutto di un suo lungo viaggio verso Lino, passi tra le mani di migliaia di ragazzi affinché sentano che la camorra fa male davvero, che non c’è davvero nulla da mitizzare, che bisogna mettersi in gioco, ognuno, come può, per cancellare da questo mondo l’arroganza del crimine organizzato e dare un contributo affinché sia sconfitta la cultura che accompagna la camorra.
Questo arriverà a Lino, superando gli ostacoli dell’indifferenza, oltre le nostre paure, passando dai canali di luce delle coscienze di ognuno di noi.
“Amorino mio, è da tanto tempo che volevo scriverti ma non ne avevo il coraggio. Scriverti, significa ammettere a me stessa che non posso più parlarti guardandoti negli occhi”.
“Da sei anni non ti guardo più negli occhi, e questo mi distrugge ancora. Con il tempo però, ho imparato a gestire la tua mancanza. Forse. Sai, ho provato a rifarmi una vita, a guardare avanti! Niente. Sono ancora ferma a te. Impossibile paragonarti ad altri, nessuno è come te. Noi due opposti, io come un maschiaccio camionista e tu ‘la pignola’, quello sempre precisino! Quanta tenerezza amore mio, tu sapevi bene come farmi ritrovare la mia femminilità. Eri la mia calma interiore. Riuscivi a tenermi testa ed io ne ero felicissima”.
“Ricordo sempre quando ti dicevo in napoletano: ‘Sei un grande uomo’ e tu con quella faccia scema ridevi e mi prendevi in giro. Ricordo quando andavamo a pescare, riesco ancora a sentire il suono lento dell’acqua, i silenzi, quella pace, quell’aria serena. Puntualmente io combinavo qualche casino, tu, sempre con tanta pazienza, mettevi tutto in ordine. Ridendo mi dicevi: ‘Sei un casino vivente!'”.

“Amorino mio, stare tra le tue braccia è stata la cosa più bella che mi sia capitata, mi sentivo amata. Mi sentivo protetta. Mi sentivo a casa. Ci svegliavamo abbracciati e il nostro buongiorno era pieno di luce con i nostri ‘Grazie di esistere’. È impossibile spiegare l’amore che ci ha uniti. Dovresti esserci tu, per far vedere a tutti solo dagli occhi cosa eravamo. I tuoi occhi infiniti come quel mare dove gustavamo la nostra pace pescando. Mi manchi tanto, da quando mi hai dovuto lasciare per forza maggiore non vivo più, una parte di me è lì, con te. Oggi non riesco più a venire da te, mi fa troppo male, ci vogliono giorni e giorni per riprendermi. Col tempo ho finalmente capito che non serve venire lì… mi basta ricordarti con la gioia nel cuore, con quel sorriso che tu amavi tanto”.
“Ricordi quando mi dicevi : ‘Quel giorno che non sorriderai più io morirò’? Ti tengo in vita col mio sorriso allora. Ho imparato a sorridere di nuovo pensando a quanto ne saresti felice. Tu per me non morirai mai e sono sicura di una sola cosa: io ti amo infinitamente, proprio come undici anni fa. La purezza di questo amore tiene ancora in vita entrambi e mi permetterà di andare avanti. Tante volte, tra me e me, ti ho chiesto scusa per le cavolate che ho combinato in questi sei anni, tante cose me le avresti rimproverate sicuramente e ora che ho quasi trovato un equilibrio, ti prometto che tornerò quella che tu amavi tanto, con un peso sul cuore, questo di sicuro, ma allegra e sorridente, come piaceva a te”.
“Non dimenticherò mai il nostro ultimo saluto: un abbraccio un bacio ed un ti amo, e poi il buio, la fine di un sogno, quel sogno che appariva infinito, la trasformazione immediata da sogno a incubo. Io volevo stare con te. Non volevo vivere da sola senza te, d’altronde come avrei potuto? Eravamo troppo belli e innamorati per separarci. Era inconcepibile che non avremmo parlato più dei nostri progetti. Mai più. Torni sempre nei miei sogni amore mio, in modo ricorrente, sempre gli stessi sogni, dove io sono lì con te che ti tengo la mano perché proprio non riesco a lasciarti andare”.
“Ti prometto che riuscirò ad essere un po’ più felice, perché nonostante tutto sono una donna fortunata, sono stata tanto amata dal mio piccolo grande uomo.
Guardo le nostre foto con gioia e malinconia: la gioia è perché ogni foto rappresenta la felicità del momento, mi facevi sorprese di continuo e non riuscivo a contenere il mio amore per te. La malinconia, perché quei momenti non torneranno più. Ti hanno tolto tutto, mi hanno tolto tutto, ci hanno tolto tutto. In questa nostalgia c’è solo una cosa che non potranno mai toglierci: i nostri ricordi favolosi, quelli esistono, vivono, li porto dentro me, ovunque, per sempre”.
“La nostra grande voglia di creare una famiglia, i nostri progetti con i nostri figli… Quanto mi facevi battere il cuore parlando del nostro matrimonio: ‘Amò sposiamoci, basta con ‘sta vita da ragazzini’. Questi ricordi vivono tutt’oggi, come tutt’oggi ti amo ancora, infinitamente”.
“Quanto vorrei averti qui, sentire la tua voce e le tue mani che mi accarezzano. Mi manchi ancora. Tanto. Un’assenza spesso insopportabile. Sono sola senza te e a questa cosa, proprio non riesco ad abituarmi, nonostante siano passati sei anni”.
“Il 15 ottobre 2012 un giorno come tanti , io tornavo da Modena, non ci vedevamo da tre giorni, anche se eravamo stati tanto a telefono. Ricordi? Io avevo il treno alle 12.00, sarei arrivata a Napoli alle 15.30, alle 16 dovevo stare a lavoro. Tu finivi di lavorare alle 14.00, mi dicesti ‘Ti vengo a prendere io, siamo stati troppo tempo lontani!'”.

“Sento ancora la tua voce e quelle parole. Dopo un po’ mi richiamasti e mi dicesti che non ce l’avresti fatta col tempo perché eri stato chiamato in direzione, allora saresti passato la sera, prima di andare a giocare a calcio con mio fratello. Andai a lavoro. Verso le 18.00 mi chiamasti. Sento ancora il tono della tua voce mentre, prendendomi in giro, dicesti ‘Salve, sono Pasquale Romano, il fidanzato di Rosanna Ferrigno, me la può chiamare per favore? Quando è a lavoro non mi pensa proprio!’ scoppiammo a ridere come al solito, poi mi chiedesti come potevi cucinare un po’ di pasta, visto che avevi la partita e avresti dovuto mangiare prima, eri la solita ‘pignola’. ‘Ci vediamo per le 20.00 appena finisco di lavorare'”.
“L’ultima ora insieme. Di quell’amore immenso restava un’ultima ora di vita insieme, Amorino mio, ricordo quell’ultima ora insieme come se fosse ieri”.
“Arrivasti da me felicissimo del torneo con mio fratello, ricordo le risate quando mi facesti leggere la scheda del torneo: ‘Pasquale Romano alto 1.77 per 77 kg’, mi guardasti e dicesti ‘Amò sò 77 kg io?’ e io ridendo ‘Amò ma perché sei alto 1.77?’. Partirono immense risate e con quel ridere cominciò anche una specie di lotta. Una battaglia tra baci e abbracci”.
“Ad un tratto arrivò la telefonata che i ragazzi ti aspettavano a piazza Bellini. Ci abbracciammo, riesco ancora a sentire il tuo odore. Ci baciammo. ‘Amore ti chiamo appena arrivo sul campo. Ti amo. A dopo’. ‘Ti amo anch’io amorino, a dopo’”.
“Dopo il saluto ricordo di aver acceso una sigaretta, l’ultima da felice, perché dopo qualche secondo iniziai a sentire quattro spari, poi subito dopo altri tre. Non li avevo mai sentiti ma mi resi conto subito che non erano fuochi d’artificio. Iniziai a gridare, chiamai mia mamma e scendemmo giù. Fu mia madre per prima a vederti. Con un cenno disperato tentava di dirmi di non muovermi, di non andare da te, ma io ero già impazzita. Corsi verso di te amore mio che eri riverso in macchina ‘Alzati, muoviti, fa qualcosa’ ma niente, ricordo che in quella moviola di strazio e fine chiedevo aiuto gridando ovunque ma nessuno più poteva aiutarmi. Svenni”.
“Non ricordo più nulla se non tanti schiaffi che mi dicevano ‘Lino non è morto’, mi rialzai e raggiunsi di corsa l’auto. Fu un carabiniere a fermarmi. Gli dissi gridando ‘Quello è il mio fidanzato! Devo stare con lui!’. Mi guardò e mi disse che non potevo restare con te. Allora gli chiesi: ‘Ma perché, è morto?’. Non ho mai più dimenticato quel ‘Sì’ che spense ogni luce nella mia vita”.
“Niente ebbe più senso… Cosa stava accadendo? Perché tutto questo? Come poteva essere possibile? Non potevi essere morto, non aveva senso, pochi minuti prima eravamo abbracciati, a ridere e scherzare. Perché mai saresti dovuto morire allora? Quattordici colpi di mitra. Quattordici colpi di mitra decisero che non potevamo più stringerci l’uno con l’altro. Non avresti mai fatto male nemmeno a una mosca, questo rese ancora più straziante tutto. Quei colpi di mitra finirono su di te e ricominciarono nella mia testa sottoforma di ‘Perché?’, spari eterni e che non smettono di esplodere mai dentro di me. Perché nel nostro Paese esiste la mafia? Un Paese pieno zeppo di merda. Ci sono poteri forti che ne hanno bisogno per i loro affari. Soldi, sempre una questione di soldi”.
“La tua vita, amorino mio, valeva mille euro, perché la camorra così decise, ‘uno scambio di persona’. Tu, noi e tante altre persone in questa storia, non abbiamo niente a che fare con questa camorra. Anzi amore mio, noi due speriamo ancora in un mondo migliore, ci crediamo e lo speriamo ancora tanto, lo auguriamo ai tanti che ancora hanno voglia di ascoltare, ai tanti che in una lacrima di commozione riescono a vederci lì, mentre peschiamo in riva a quel mare dove osservavamo orizzonti che non abbiamo potuto raggiungere insieme”.
“Amorino mio, mi sa che devo lasciare la tua mano ora, quella che ti stringo sempre nei miei sogni. Non ne ho voglia, credimi, ma so che devo farlo. Devo lasciare la tua mano, per me stessa ma anche per te che amavi tanto rendermi felice”.
“Resterai per sempre con me, anche se questa vita andrà avanti. Una parte del mio cuore sarà con te, per sempre. Ci rivedremo un giorno, lo spero, mi porterai a pescare di nuovo e io combinerò qualche casino. Ti amo. Rosanna”.
Amedeo Zeni
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