Alla fine Raffaele Cantone ha gettato la spugna. Il magistrato partenopeo lascia l’Autorità nazionale anti-corruzione.
“Voglio rientrare in magistratura in questo momento difficile”.
L’addio è stato annunciato con una lettera pubblicata sul sito dell’Anac: “Non posso più restare spettatore. L’Anac è un patrimonio per il Paese ma non è apprezzata come dovrebbe”.
Una sottolineatura che in sintesi denuncia il progressivo indebolimento delle funzioni dell’Autorità anti-corruzione e il restringimento della sfera delle proprie attività.
Cantone va via dopo oltre cinque anni di presidenza dell’Anac.
“Sento che un ciclo – si legge nel testo – si è definitivamente concluso, anche per il manifestarsi di un diverso approccio culturale nei confronti dell’Anac e del suo ruolo”. E ancora : “La magistratura vive una fase difficile, che mi impedisce di restare spettatore passivo”, aggiunge Cantone.
“La consapevolezza è che dal 2014 il nostro Paese ha fatto grandi passi avanti nella prevenzione della corruzione, tanto da essere divenuta un modello di riferimento all’estero” – spiega Cantone -.
“Naturalmente la corruzione è tutt’altro che debellata – sottolinea – ma sarebbe ingeneroso non prendere atto dei progressi, evidenziati anche dagli innumerevoli riconoscimenti ricevuti in questi anni dalle organizzazioni internazionali (Commissione europea, Consiglio d’Europa, Ocse, Osce, Fondo monetario) e dal miglioramento nelle classifiche di settore”.
È chiaro che Cantone è stato messo nelle condizione di andare via. Nel decreto crescita – ad esempio – il governo ha depotenziato l’azione dell’Anac alzando la soglia degli affidamenti diretti e riducendo le competenze dell’Autorità.
A quel punto Cantone ha constatato che la sua presenza alla guida dell’organismo era praticamente inutile.
P.P.M.