Stese continue a Napoli. Siete tutti pronti al prossimo morto?

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Lo piangeremo, ci arrabbieremo, ci danneremo e grideremo a gran voce “Mai più!”. Vedremo amici della vittima reggere ai funerali manifesti con “Non muore chi vive nel cuore di chi resta”.

Qualche politico tuonerà: “Ci impegneremo a fare in modo che non riaccadono orrendi episodi simili”, parleremo per giorni della necessità di cambiare le cose, condivideremo sui nostri social migliaia di post con le foto del millesimo martire.

Sarà un ragazzo, una ragazza, un’anima che in questo momento è ignara di quanto la strafottenza governativa nazionale non intenda smuovere proprio un bel niente per cambiare davvero le cose e salvare la sua vita.

Sarà la sua dipartita e non la sua esistenza ad avere tutti gli onori del caso. Seppure onori brevi. Dopo due settimane da quel proiettile vagante che ucciderà qualcuno, infatti, ci sarà qualcosa di ancora più frustrante: l’ennesimo silenzio e la stagnazione della rivalsa.

A Napoli non cambia niente non perché non è possibile cambiare qualcosa, ma perché non c’è un vero programma condiviso. Non c’è nemmeno un’istruzione tutelata da sovvenzioni, una scuola che sfondi con un tuono di democrazia le porte delle case nei vicoli.

Ormai da tempo vagano nella notte talenti sprecati nel crimine, prigionieri di una mentalità malata dove l’unica evasione possibile è quella scolastica. Serve un unico piano, una decisione da Roma, ferma, consistente, coriacea.

Quante vittime, quante manifestazioni, quanti litri di sangue servono per riempire l’otre con cui dissetare i decisori del cambiamento? Questi ragazzini devono essere circoscritti, devono essere fermati, non moralmente, metaforicamente, culturalmente, questi vanno fermati fisicamente! Ora. Domattina. Non tra qualche anno.

Ci fregiamo di avere l’intelligence più preparata del mondo, rassicuriamo il nostro ego esaltando le competenze delle valide forze dell’ordine, ma quanto costa dare a questi esperti un mandato per fermare questi ragazzi?

Possibile che con tutti i mezzi a disposizione che ha questa nazione, non siamo capaci di fermare quattro cretini?

Questi ragazzetti si stanno organizzando e la storia lo insegna, sapranno far sempre più paura abituandosi al metodo.

Lo stanno spiegando negli ultimi tempi sociologi, giornalisti, professori, esperti del settore, fruttivendoli, capere: questi scervellati che si fanno crescere la barba, non hanno più capi a governarli perché questi ultimi stanno tutti in galera, per nostra fortuna.

C’è un paradosso quasi comico, siamo stati capaci di smantellare decine e decine di clan camorristici arrestando grandi boss e adesso non siamo in grado di fermare qualche “baby gang”?

Paghiamo il prezzo di un mancato intervento educativo nella fase di passaggio tra vecchia camorra e baby gang. In realtà per fermarli non c’era e non c’è una risolutezza partecipata, dove in forma piramidale ci sia a capo la volontà del governo italiano di sconfiggere seriamente il fenomeno e sotto tutti i restanti esperti del settore.

Mancano mezzi, mancano risorse economiche, si preferisce spendere denaro pubblico in spot elettorali contro la camorra ma se si tratta di pagare interventi straordinari sul campo si è riluttanti.

La verità, e non bisogna tergiversare con mezzi termini fuorvianti, è che non esiste l’interesse di mettere a tavolino tutte le risorse competenti in materia con tutti i mezzi possibili, dallo sblocco di fondi alla modifica delle leggi qualora fosse necessario, imponendo, inoltre, una radicale riforma della giustizia che vede come primo baluardo la certezza della pena, a seguire la costruzione di nuovi carceri, la strutturazione di centri di formazione per ragazzi volti alla salvaguardia del loro tempo libero.

Prendiamo questi ragazzi che si atteggiano a guappi, che minacciano citando “Gomorra”, che fumano Marlboro a dodici anni, che impongono il pizzo ai commercianti spaventandoli con bombe artigianali, che vogliono decidere chi deve vendere la droga nel loro rione, ragazzi che si sentono maschi, troppo ignoranti per coniugare un verbo correttamente, troppo esaltati da cafonissimi brani neomelodici, troppo presi tra un “m’adda murì mammà” e un “frà m’o vec ì” a promettersi tra di loro alleanze stile camorra cutoliana (tornata di moda) che li fa sentire più adulti, quando in realtà sono solo più trogloditi.

Ragazzi che rubano, tutto, e lì, nelle trame di quei modi devianti di pretendere rispetto, rubano anche un’agognata dignità che questa nazione non sa dargli con un lavoro e con una cultura scolastica.

Portiamoli a Nisida, ma non per dare loro attraverso qualche mese di carcere un’ulteriore medaglia al valore per sentirsi ancora più guappi nel branco, portiamoli in un carcere che li cambi.

Se siamo in grado di riformarli reinserendoli nella società come Uomini dalla “U” maiuscola avremo vinto, diversamente si agisca con la tolleranza zero di cui questa città ha purtroppo bisogno.

L’ignoranza non merita più pietà, piuttosto che ritrovarci a piangere una nuova vittima, sarebbe meglio vedere piangere quelle madri che urlano indossando una larga e fiera presunzione abbinata a sudate e strette canotte di griffe contraffatte, sostenitrici, spesso con arrogante orgoglio, della mancanza di cultura di figli bulli, buffoni e assassini, mentre i loro “piezz e core” vengono definitivamente arrestati.

Amedeo Zeni

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