In cinque pagine, il decreto di fermo, procura e carabinieri inchiodano alle loro responsabilità due cittadini americani, Gabriel Christian Hjort Natale, 19 anni, nato a San Francisco. Stessa città in cui è nato, sempre nel 2000, l’amico è complice Elder Finnegan Lee.
Entrambi sono gli assassini del vice brigadiere Mario Cerciello Rega.
I due studenti americani hanno confessato e sono stati fermati per la morte del vice brigadiere Mario Cerciello Rega. La vicenda è chiusa? Tutto è stato chiarito?
No, per niente, restano buchi e punti oscuri sull’esatta dinamica del furto e dell’estorsione che hanno fatto scattare l’operazione nella quale è morto il militare dell’Arma.
Hanno sferrato i fendenti mortali con un coltello. Ucciso per un grammo di cocaina. I due assassini volevano recuperare i 100 euro investi per la dose che il pusher aveva truffato vendendo loro, invece, aspirina.
I due statunitensi scippano lo zaino allo spacciatore e chiedono i soldi. Fanno appuntamento per riconsegnarlo e incassare i soldi del ‘cavallo di ritorno’.
Appare strana, insolita la circostanza che un pusher rapinato e sotto estorsione chiami il 112 e faccia intervenire i carabinieri in borghese.
Non si è capito se quello poi scippato era davvero un venditore di polvere bianca oppure un ‘intermediario o procacciatore di clienti per le piazze di spaccio.
Poi i due americani erano in possesso di un cellulare rubato e quanto è giunta la chiamata in arrivo su quel numero hanno risposto e preso appuntamento con la vittima della tentata l’estorsione.
Due ragazzi di 19 anni di cui uno armato con un coltello che aggrediscono i due militari dell’Arma senza che intervenissero pattuglie di supporto logistico.
Né la vittima né il collega, hanno utilizzato l’arma di servizio per difendersi o mettere in fuga i due aggressori.
Questi sono gli interrogativi che restano poco chiari nella ricostruzione degli inquirenti di ciò che è accaduto nel quartiere Prati a Roma.
Domande a cui prima o poi qualcuno deve rispondere perché Mario Rega Cerciello appena 35 anni, un vice brigadiere originario di Somma Vesuviana nell’esercizio del suo dovere è morto.
Lascia la giovane moglie sposata appena un mese e mezzo fa, lascia una madre, un fratello e una sorellina, gli amici di sempre, la sua parrocchia dove lunedì avverrà la celebrazione del suo funerale, lascia il suo mondo fatto di volontariato, di aiuto al prossimo, di grande solidarietà verso gli ultimi tra ultimi e lascia quella voglia pulita di un Sud che si rimbocca le maniche e cerca nel suo piccolo di cambiare una realtà che mette davvero paura.
È chiaro che i giornalisti fanno i giornalisti e non gli investigatori. Se qualcuno ha strumentalizzato ‘politicamente’ nel corso della fasi concitate dell’accertamento della verità con discriminazioni razziali o veicolato anche a scopo investigativo, nomi, nazionalità, identità e foto dei presunti assassini del vicebrigadiere Mario Rega Cerciello se ne assume la responsabilità.
I cronisti – la maggior parte – hanno riportato le notizie che sono affluite dai canali istituzionali formali e informali.
Negli articoli è chiaro che si è fatto sempre attenzione a non condannare nessuno – questo avviene a fine dei processi con le sentenze nei tre gradi di giudizio da parte dei giudici –.
Negli articoli è stato scritto, sottolineato, aggettivato usando e rimarcando il termine ‘presunti’.
Il cronista per dovere deontologico – come sempre avviene – fa verifiche incrociate, controlla le fonti e riscontra proporzionalmente ai suoi mezzi disponibili e nell’agibilità professionale e spirito di collaborazione con le forze dell’ordine.
Il dibattito inscenato in queste ore, la demonizzazione di chi ha il compito d’informare, l’onda lunga di delegittimazione generalizzata che sta montando contro la stampa è solo l’imbastardimento di questo periodo buio del Paese. C’è chi riporta solo le notizie.
Se ci sono mele marce che si prestano ai ‘giochetti’ aizzano le folle in campagne d’odio, veicolano coscientemente fake news non sono operatori dell’informazione ed è giusto che le commissioni disciplinari locali dell’ordine dei giornalisti intervengano con severità.
Arnaldo Capezzuto
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