L’esercizio del ricordo. Il fare memoria. È la notte tra il 5 e il 6 settembre di quattro maledetti anni fa al Rione Sanità, si sta in piazza. È un luogo di comunità.
Scatta la rappresaglia. È la riposta. Vengono da Miano per nome e per conto del clan Lo Russo, i Capitoni. Sparano all’impazzata: una Stesa. Colpi di pistola esplosi ad altezza d’uomo. Uno centra e colpisce Genny Cesarano strappandogli la vita a soli 17 anni.
Doveva essere una ritorsione, un raid intimidatorio contro i “Barbudos” Esposito-Spina-Genidoni, invece i sicari spararono tra la folla e sotto i colpi finì un giovanissimo innocente.
Genny al mattino si sarebbe alzato presto per l’ultima corsa al mare, prima di ritornare tra i banchi di scuola, spensierato e incurante di quelli che sarebbero stati i giorni futuri.
Il posto sbagliato al momento sbagliato? No! Genny era esattamente dove doveva essere: con i suoi amici, nel luogo che lo ha visto crescere, in una sera di fine estate, a parlare distesi sui motorini, spaccandosi le prime sigarette e immaginando di scappar lontano.
Quella sera a compiere l’omicidio di Genny erano in quattro: Luigi Curatelli, Antonio Buono, Mariano Torre e Ciro Perfetto; giovanissimi, condannati tutti all’ergastolo.
C’è un monumento in Piazza Sanità che ricorda il sacrificio di Genny, vittima innocente della camorra. Una guerra, che non ha pari in altre metropoli dell’Occidente.
Nove anni prima a Mondragone nella zona di Pescopagano, cade sotto i proiettili, Michele Landa, 61 anni.
Dopo 13 lunghi anni nessun ha pagato per il suo omicidio. Venne trucidato la mattina del 6 settembre, il 15 ottobre, e Michele sarebbe andato in pensione dopo una vita di lavoro, compreso quello di metronotte svolto nell’ultimo periodo.