Sta suscitando un’ondata di indignazione collettiva la decisione della dirigente scolastica della “Carlo Levi” di Scampia di non far entrare a scuola uno studente con le treccine blu tra i capelli.
Premesso che Rosalba Rotondo è stata una pioniera dei progetti di inclusione e integrazione, aprendo le aule anche ai rom, scatenando per questo le ire di una parte di genitori, non vorrei che l’episodio diventasse l’ennesima occasione per creare la guerra tra scuola da una parte e famiglie dall’altra.
Forse saranno stati sbagliati i modi, si poteva percorrere un’altra strada, ma il principio resta invariato.
A scuola si dovrebbe andare vestiti in un certo modo, non dico indossando la divisa, ma quantomeno rispettando l’ambiente concepito per studiare, apprendere, formarsi.
Questo vale per le treccine, gli shorts o qualsiasi altro abito e atteggiamento che va bene se esci con gli amici non se stai a scuola.
Non si tratta di avere un atteggiamento retrogrado, di negare il diritto allo studio, ma di rispettare delle regole. In questo l’Itis Ferraris, sempre a Scampia, ci riesce con successo da anni vietando certi modi di vestirsi o l’uso del cellulare, e nessuno si è mai lamentato. Invece no, la scuola rischia di diventare la nemica delle famiglie, quella che impone la legge ed è per questo mal vista.
Se fossimo un po’ più collaborativi con la scuola, con chi prova a farla funzionare, forse potremmo tornare a discutere di orientamento, collegamento al mondo del lavoro, evasione scolastica, bullismo. Se le treccine prendono il sopravvento nel dibattito sulla scuola, abbiamo tutti perso in partenza.
Luca Saulino