Sono trascorsi 26 anni ma il ricordo, l’esempio, il sacrificio sono indelebili nella memoria collettiva. Perché quel prete nonostante le pesanti minacce di morte, le ritorsioni, le difficoltà continuava a sorridere e andare avanti prendendosi cura dei giovani del quartiere Brancaccio.
Palermo non dimentica dopo ventisei anni fa il delitto di don Pino Puglisi. Ventisei anni fa i boss uccisero don Pino Puglisi, il parroco che voleva cambiare Brancaccio, la periferia di Palermo.

Lo guardarono negli occhi prima di ammazzarlo e lui sorrise. Killer e mandanti sono stati condannati, giudiziariamente quel delitto è stato raccontato e spiegato ma resta il mistero che di fronte al passare degli anni resta senza una risposta : quale fu la causa scatenante del delitto?
Il sacerdote proclamato beato operava nel quartiere già da due anni. Poi, all’improvviso, iniziarono le minacce. Pippo De Pasquale, grande amico di don Pino, aggiunge un tassello importante alla ricostruzione.
I boss volevano fermare a tutti i costi il parroco di San Gaetano. Qualche mese prima del delitto telefonavano per minacciarlo, ma sbagliavano numero e chiamavano il suo amico, che abitava al piano di sopra.

“Parrino, ti dobbiamo ammazzare”, fu l’ultima telefonata. Ma don Pino non andò mai via da Brancaccio continuò ad occuparsi degli ultimi tra ultimi.
Restituì dignità ai ragazzi, ai giovani sottraendoli dalle grinfie della mafia, interrompendo quel meccanismo di reclutamento della manovalanza, facendoli crescere e donando loro la libertà di scelta da che parte stare.
E Palermo non dimentica. Ieri sera una grande fiaccolata ha attraversato le strade di Brancaccio per ricordare l’esempio di quel prete, quell’uomo che ora la chiesa si appresta ad annoverarlo tra i santi.
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