Giustizia per Norina, uccisa dal marito e poi dimenticata dal clamore dell’arresto del boss Marco Di Lauro

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Norina Matuozzo non né poteva più. La sua ossessione era proteggere i suoi figli. Quella vita non le apparteneva. Ne aveva preso coscienza forse troppo tardi. Basta. Mettere un punto. Ricominciare a vivere.

Salvatore Tamburrino, suo marito non era uno stinco di santo. Era l’uomo di fiducia del boss latitante Marco Di Lauro, F4 per gli investigatori e praticamente un fantasma per 14 anni, grazie proprio alla rete invisibile organizzata dal suo fedelissimo.

Un rapporto coniugale sfibrato, anchilosato, ingabbiato che finisce quando Norina decide di trasferirsi con i bambini a casa dei genitori a Melito. E lui non accetta quello strappo, quella brusca separazione. Vuole chiarire, vuole parlare, vuole vederla. Tenta una riappacificazione. E si presenza a casa dei suoceri, vuole parlare da solo con la moglie.

Accade l’inenarrabile: Norina è uccisa a colpi di pistola. È il 2 marzo 2019. Tamburrino si costituirà e dopo pochi minuti sottoposto a interrogatorio avviene l’impensabile: Marco Di Lauro, il rampollo della famiglia-clan, l’inafferrabile finisce in manette nella sua insospettabile abitazione a Chiaiano.

Solo coincidenze? Gli inquirenti cercavano solo conferme. Ascoltano la confessione del femminicidio ma sanno che Tamburrino può svelare particolari della sua vicinanza a Di Lauro. L’irruzione e il latitante finisce in manette. Un modesto appartamento preso in fitto dove Di Lauro viveva con la compagna e il suo gatto.

Un arresto clamoroso, ne parleranno per settimane giornali, tv di tutto il mondo. Dopo il boss della mafia Matteo Messina Denaro, ancora primula rossa, c’era il nome di Di Lauro in cima alla lista dei latitati. La notizia copre, oscura, ridimensiona l’omicidio di una donna, di una moglie, di una madre.

Ora Tamburrino è diventato collaboratore di giustizia e sta riempendo tanti verbali e raccontando i segreti nascosti del clan, le collusioni, le amicizie, l’entità che hanno permesso a Marco Di Lauro di starsene per 14 lunghi anni tranquillo, al sicuro e indisturbato.

La collaborazione di Tamburrino ha spazzato via la storia di Norina Matuozzo, vittima di femminicidio. Tamburrino sull’omicidio della moglie ha spiegato agli investigatori che era armato per porre fine alla sua di vita. Con sé avrebbe portato anche un testamento la cui beneficiaria sarebbe stata proprio la moglie. Una cospicua somma di denaro che avrebbe potuto reclamare solo Norina.

La situazione sarebbe degenerata. E lui in preda ad una follia cieca, in piedi davanti alla moglie che invece era seduta – un particolare fondamentale – avrebbe chiuso gli occhi ed esploso tre colpi ad altezza uomo al solo scopo di spaventarla. I tre proiettili invece hanno raggiunto il corpo di Norina senza lasciarle scampo.

I familiari, gli amici di Norina chiedono giustizia e verità. Non si danno per vinta e hanno deciso di scendere in strada, far sentire la propria voce e la vicinanza, il sostegno alla famiglia Matuozzo. Martedì 26 novembre ore 20 in piazza di Nocera a Secondigliano (davanti chiesa San Cosimo e Damiano) una fiaccolata per non dimenticare e chidere giustizia.

“Non potremmo ridarle i suoi sogni ma almeno facciamo in modo che possa riposare in pace” – scrivono gli organizzatori e denunciano : “Il marito reo confesso, un passato burrascoso in attività illecite e criminali si è appellato alle leggi esistenti affinché possa usufruire delle agevolazioni legislativi previsti per non essere processato”.

“Dal rito abbreviato al risarcimento economico del ‘danno’ – attaccano – come si può pensare di quantificare in danaro una vita umana?.Per la famiglia di Norina è inaccebile tale situazione. Il caso di Norina non verrà giudicato come atto a sé violento e disumano”.

“La storia di Norina è la storia di tante donne stappate alla vita da chi invece doveva amarle e proteggerle. Norina era una figlia, una mamma, una sorella, un’amica insomma una donna con una vita avanti e tanti sogni da realizzare. Purtroppo c’è chi ha deciso per lei, distruggendo tutto ciò che aveva costruito e sognato”.

Pier Paolo Milanese

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