Ci sono le spinte legittime del mondo dell’impresa e le esigenze sociali-psicologiche di chi è rinchiuso in casa ormai da più di due mesi. Chi governa ne deve tener conto e decidere. È chiaro.
Ma il Comitato tecnico scientifico ha suggerito – visto il numero dei contagiati, la velocità di diffusione del virus e i decessi – massima cautela e avviare la fase due in un periodo non breve.

Con l’apertura del Paese – secondo i calcoli e le stime degli esperti – ci troveremmo rapidamente con 151.231 pazienti in terapia intensiva per Covid-19 (picco previsto l’8 giugno) per arrivare a 430.866 in totale da qui alla fine dell’anno. Invece una apertura del Paese a bassa intensità – insomma con scuole chiuse e telelavoro, trasporti pubblici e mobilità limitata il quadro potrebbe essere di un picco di 85.079 pazienti in terapia intensiva, per arrivare a quasi 400mila il 31 dicembre.

Una simulazione che in queste ore sta consigliando al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di limitare e graduare i provvedimenti della fase 2.
Del resto Germania e Francia hanno precipitosamente tirato il freno a mano sulla cosiddetta seconda fase mentre la Spagna la seconda fase l’ha divisa in quattro fasi. Resta l’inquietudine dell’orizzonte che non si intravede, del tempo sospeso a tempo indeterminato e di vivere nella più totale precarietà economica-psicologica e sociale.
Tanto è vero che proprio in queste ore il presidente del Veneto Luca Zaia, che più di altri vule riaprire tutto, ha spiegato: “Lo dico subito e in maniera trasparente: stiamo lavorando per fissare in maniera plastica un numero di ricoverati e delle terapie intensive, perché se lo raggiungiamo si torna a chiudere”.
“Non ci sono alternative – ha aggiunto Zaia – non vorrei che qualcuno si faccia l’idea che è tutto finito”.
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