Erastolo per il boss Arcangelo Abete e Raffaele Aprea. La sentenza è stata pronunciata dal giudice del processo alla Corte d’Appello del Tribunale di Napoli per l’omicidio di Gianluca Cimminiello, vittima innocente della camorra.
Aula 320 ad ascoltare la lettura del dispositivo ci sono le sorelle di Gianluca, il senatore Sandro Ruotolo e i rappresentanti del Comune di Napoli e della Fondazione Polis, parte civile insieme ai familiari di Cimminiello nel processo.
Gianluca aveva 32 anni quando fu trucidato, il 2 febbraio 2010, davanti al suo studio di tatuatore a Casavatore. Entrambi gli imputati già furono condannati all’ergastolo nel 2018 nel processo di primo grado.
Abete è il mandante mentre Aprea, l’organizzatore dell’omicidio. Gianluca fu punito perchè reagì ad un pestaggio voluto dal clan Amato-Pagano di Secondigliano dopo una foto che Cimminiello aveva pubblicato sui social. Si trattava di un fotomontaggio nel quale sembrava che tatuasse il calciatore Lavezzi.
L’iniziativa di Gianluca era a scopo didattico nel senso di educare le persone a non credere alle bufale dei fotomontaggi e di molti tatuatori che, a volte, con l’inganno si facevano pubblicità. Ma la presa di posizione di Gianluca Cimminiello scatena la gelosia di un concorrente e provoca una lite su Fb.
Frasi, parole e dialettica a tratti ruvida come può accadere e accade sui social. La ‘discussione’ dal mondo virtuale ben presto approda al mondo reale. Il concorrente, investe della questione alcuni suoi conoscenti, esponenti di un clan.
L’intento è dare una lezione a Cimminiello, fargli capire chi comanda. Si presentano nello studio di Casavatore alcuni membri del clan. Chiedono al 32enne conto della foto pubblicata e della discussione via web. Tentano di aggredirlo ma Gianluca reagisce.
Esperto di arti marziali comincia a difendersi: ad avere la peggio è proprio il commando di picchiatori e in particolare uno dei nipoti del boss Cesare Pagano, capo del gruppo degli scissionisti in guerra con i Di Lauro. Uno sgarro pesante aver picchiato un congiunto di un boss. Tra l’altro l’episodio è accaduto in una zona presidiata da un sottogruppo degli scissionisti quello capeggiato dal boss emergente Arcangelo Abete.
Punire quel giovane diventa fondamentale, ne va della credibilità – agli occhi degli alleati – del valore del gruppo criminale emergente che aveva mire di affermarsi su quei territori.
Per l’omicidio Cimminiello è stato condannato in via definitiva all’ergastolo Vincenzo Russo, il killer, l’esecutore materiale che la sera del 2 febbraio di 10 anni uccise a colpi di pistola Gianluca sotto lo sguardo della fidanzata del 32enne.
Oggi con la condanna all’ergastolo di Abete e Aprea si è ad un passo dalla chiusura giudiziaria definitiva della vicenda.
Verità e giustizia per un figlio di Napoli, vittima innocente della camorra perché ha avuto la forza e il coraggio di ribellarsi, di opporsi, di gridare no al violenza e al ricatto del clan.
Gianluca Cimminiello non ha girato lo sguardo altrove e neppure chinato il capo. Non ha difeso solo la sua di libertà ma quella di una città troppo spesso colpevolmente complice e sottomessa alla camorra e alla sua infame sottocultura.
Arnaldo Capezzuto
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