REDUCE SCONFITTO E DISADATTATO IN PRATICA UNA PERSONA PERBENE

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Una catena di lutti impressionante: domani nel giorno dei funerali di Giovanbattista Cutolo cade l’anniversario dell’uccisione di Genny Cesarano mentre l’altro ieri era quello di Salvatore Buglione e tanti altri ne seguiranno. Pare un destino maledetto che ciclicamente strappa dalla vita la meglio gioventù di Napoli. Violenza che si aggiunge a violenza con il solito carico retorico di elaborazione del lutto collettivo: “La cultura, la bellezza salva le vite, il coraggio di restare ecc”.

Occorre che lo Stato faccia lo Stato fino in fondo, una volta per tutte. Dev’essere un impegno costante, vero, serio e duraturo di tutte le articolazioni dello Stato facendo, innanzitutto, rispettare la Costituzione: Obbligo scolastico, formazione e avviamento al lavoro, offrire stesse opportunità e garantire stessi servizi a tutti. Soprattutto farsi carico dei fragili, degli ultimi organizzando una rete di sostegno a chi vuole ma proprio non riesce in molti casi tante famiglie e genitori.

Nessuna svolta semplicistica e securitaria ma affrontare la complessità dei problemi con diversi strumenti operativi guardando la realtà vera. E di fronte all’orrore della consuetudine familistica a delinquere, preso atto dell’assenza di capacità genitoriale e in attesa di togliere il degrado e migliorare i contesti territoriali e sociali di alcuni quartieri, occorre procedere con la sottrazione dei minori alle famiglie. È doloroso. Ma è giunto il tempo di applicare ciò che in Calabria si fa contro le famiglie di n’drangheta. Spezzare il circolo vizioso.

Napoli è l’unica metropoli europea a riprodurre sottoproletariato che non s’integra con la città e resta chiuso in un suo sistema staccato, insomma, scene di fine Ottocento e inizio Novecento come le descrive Matilde Serao. Poi c’è il dramma di un pezzo di borghesia grassa e incolta, primitiva e predatoria con punti di vicinanza, convivenza e sovrapposizione alla malavita. È un tutt’uno che si mischia e si confonde.

Siamo stanchi della filosofia del ‘Cavalluccio rosso’, di questa insensata coazione a ripetere socialmente sempre le stesse movenze e posture pre e post tragedia. Se questa radicalità non è possibile attuarla in Italia e in particolare a Napoli (comprese le pene certe per chi compie un reato e garantire un vero reinserimento e recupero) bisogna dirlo. Così ognuno decide se continuare a piangere il morto di turno oppure andare via.

Perché chi ha deciso anni fa di restare, rischiare e combattere fornendo un proprio modesto contributo oggi come ieri oltre ad essere deluso, si sente un reduce sconfitto e disadattato in pratica una persona perbene.

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