Giancarlo Siani sarebbe ancora vivo

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“Sono convinto che Giancarlo Siani sarebbe ancora vivo se i suoi colleghi avessero vissuto con coscienza diversa il ruolo di informatori proprio come ha avuto il coraggio di fare lui”. Luca Abete, inviato in Campania, della trasmissione “Striscia la notizia” in onda su Canale 5 racconta, dal suo punto di vista – di non addetto ai lavori – cosa significa veramente informare.

Spunto della chiacchierata (ampio servizio su www.ossigeno.it) l’aggressione che ha subito insieme al suo operatore a San Rufo nel salernitano da parte del gestore di un centro ippico nel corso di un servizio televisivo e all’ospedale San Gennaro di Napoli.

“No, non è la prima volta che mi menano. Il mio ‘battesimo’ è avvenuto il 25 aprile 2009 quando io e i miei due operatori fummo aggrediti da otto persone durante un servizio sulle scommesse consentite ai minorenni. Fu un pomeriggio piuttosto movimentato. Anche lo scorso anno durante un servizio su alcuni mezzi della Protezione Civile in provincia di Napoli le cose si misero male. Anche in quel caso non sono mancati calci, pugni e strattoni.

Lo spintone, il contatto non proprio pacifico, la violenza verbale ricorrono piuttosto frequentemente nei miei servizi. L’esperienza vissuta a San Rufo, però, sarà difficile dimenticarla. Ho avvertito un senso di impotenza verso persone che non avevano assolutamente voglia di ragionare. Sembravano solo interessati a far male e distruggere le prove di quanto stava avvenendo”.

“Quando esco a registrare so che può succedere di tutto. Non ignoro la delicatezza di certi argomenti e quanto possa dar fastidio vederli portati alla luce. Sono cosciente, però, di avere dalla mia parte la bontà della missione che sono chiamato a svolgere, la consapevolezza del supporto di chi crede in me e un’utilissima dotazione di coraggio misto a un pizzico di sana incoscienza.

Ho l’abitudine di affrontare il mio interlocutore con estrema determinazione, ma sempre con rispetto, garbo e lealtà, puntando alla possibile risoluzione della problematica che affrontiamo senza provocazioni inutili. Questo mi aiuta a fare al meglio il mio lavoro, anche se, di certo, non mi mette al riparo da conseguenze che non escludo possano sorgere, ma che mi auguro si presentino più tardi possibile”.

“Mi piace sperare, però, che qualcosa possa cambiare affidando il futuro alle nuove generazioni. Solo lavorando sulla consapevolezza dell’opportunità che ciascuno possa individualmente determinare un cambiamento dello stato delle cose, attribuendo, insomma, potere al singolo che si dissocia dal gruppo, si potrà immaginare quel riscatto per il quale io, il mio microfono e le mia pigne continueremo a lottare”.

Arnaldo Capezzuto

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