LA VITA di Nicola Nappo, fabbro di 23 anni, finisce il 9 luglio 2009. Nicola è in via Roma a Poggiomarino quando due sicari scesi da una Fiat Punto lo massacrano a colpi di pistola a pochi passi dal Municipio. Nappo è una vittima innocente. I killer in realtà cercavano Carmine Amoruso, un giovane aspirante boss, legato al clan dei Giuliano. Era lui il vero obiettivo. Muore, invece, lo sfortunato fabbro che paga con la vita la sua somiglianza al camorrista. Nell’agguato resta ferita di striscio da un proiettile di rimbalzo anche una ragazza frequentata in passato da Amoruso.
Il fatto che la donna fosse vicino a Nappo, forse, contribuisce allo scambio di persona. La vicenda del 23enne conferma che nelle terre di Gomorra si può morire per nulla, come denuncia anche The Independent in un reportage sulla nuova faida di Scampia: “La vita a Napoli vale poco, 160 morti per errore”, scrive il giornale inglese. Nappo è vittima inconsapevole di una “contro-ritorsione” tra gang di giovani malviventi.
I killer vogliono uccidere Amoruso per vendicare l’affronto che il giovane ha compiuto nei confronti di uno dei rampolli della famiglia Sorrentino, i cosiddetti “campagnoli” di Scafati. Il 21 giugno del 2009, pochi giorni prima dell’agguato mortale, Amoruso si presenta a Scafati con alcuni suoi amici davanti alla chiesa di Sant’Antonio Vecchio. Anche lui deve compiere una ritorsione contro i “campagnoli” che hanno malmenato un pusher passato tra le sue schiere.
Il gruppo di Poggiomarino vuole mostrare i muscoli e imporsi sul territorio secondo l’unica legge della camorra: quella della violenza. Ne nasce una rissa brutale, durante la quale Amoruso colpisce alla testa con un cric a fisarmonica il figlio di un ergastolano dei “campagnoli”. L’affronto, secondo l’ottica della camorra, è gravissimo e il clan di Scafati decide di presentare un conto di sangue.
Il 9 luglio due killer piombano a Poggiomarino, ma sbagliano obiettivo e uccidono Nappo, incuranti della gente che riempie la strada nel centro della cittadina. A tre anni di distanza dall’omicidio, i carabinieri arrestano Antonio Cesarano, 32 anni di Pompei. Nei suoi confronti il gip Ludovica Mancini emette un’ordinanza di custodia cautelare su richiesta dell’Antimafia. Secondo quanto emerso dalle indagini, Cesarano avrebbe fornito la sua auto, una Fiat Punto, ai sicari entrati in azione in via Roma a Poggiomarino e poi ne avrebbe denunciato falsamente il furto.
L’auto è stata ritrovata bruciata poco dopo il raid. Da quanto appurato dagli investigatori l’uomo sarebbe stato cosciente del fatto che l’automobile sarebbe stata usata per un agguato, ma che è stato comunque costretto a cederla perché, così come promesso, non era riuscito a trovare un altro mezzo da fornire ai killer. La Dda, anche grazie al contributo di collaboratori di giustizia, riesce a chiarire così tutti i retroscena della tragedia del giovane fabbro finito senza colpe in un regolamento di conti nato da un rissa tra gang.
“Questa vicenda dimostra che la procura e la polizia giudiziaria non dimenticano l’omicidio delle persone innocenti, ma continuano a indagare fino a quando il caso non è risolto – afferma il procuratore Giovanni Colangelo – il nostro impegno per risolvere anche questo caso è fortissimo”. Colangelo, però, sottolinea che spesso la collaborazione dei cittadini è scarsa o inesistente: “Ci sono casi in cui possiamo contare solo sulle nostre forze”, dice il numero uno della Procura.
Antonio Di Costanzo