A sorpresa il boss ergastolano Giuseppe Graviano accetta di essere interrogato e risponde, parla, ricorda, ricostruisce. Un racconto preciso, puntuale, dettagliato. Ammette di aver incontrato più volte Silvio Berlusconi anche quando era latitante.
Ascoltato al processo “Ndrangheta stragista” a Reggio Calabria, “Madre natura” ha svelato per la prima volta i collegamenti tra la mafia e l’ex presidente del Consiglio.
C’è silenzio in aula, le parole di Graviano tolgono il fiato. Silvio Berlusconi era un amico di famiglia, conosciuto e frequentato dai Graviano ancor prima della sua discesa in campo con Forza Italia.
Un progetto di cui la famiglia di Brancaccio era stata messa a conoscenza ben prima che la cosa divenisse pubblica. “Il partito era pronto nel ’92, non nel ’93 come sanno tutti” si lascia scappare.
Si rivolge alla Corte d’assise di Reggio Calabria di fronte alla quale è imputato per gli attentati contro i carabinieri che sono costati la vita ai brigadieri Fava e Garofalo e gravi ferite ad altri quattro militari, risponde alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Lancia dei messaggi precisi forse avvertimenti.
A Berlusconi e “agli imprenditori milanesi”. A pezzi dell’intelligence del protocollo Farfalla “che a me non si sono mai avvicinati”, a quegli uomini ancora senza nome “che hanno ucciso il poliziotto Nino Agostino e sanno dov’è l’Agenda Rossa di Borsellino”.
Dice al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che, domanda dopo domanda, lo incalza. L’impero di Berlusconi è stato costruito anche con capitali di mafia.
Venti miliardi, per la precisione, messi insieme dal nonno di Graviano, Filippo Quartararo, insieme a non meglio precisati finanziatori per un affare che riguardava “Milano 3, le televisioni, Canale 5, tutto”.