Dopo tre anni di navigazione e di studio delle regioni degli oceani globali immerse nella luce, i ricercatori del consorzio Tara Oceans, un team interdisciplinare internazionale di scienziati al cui coordinamento tra gli altri c’è l’italiano Daniele Iudicone, scienziato della Stazione Zoologica di Napoli Anton Dohrn, rivelano le nuove frontiere del mondo planctonico attraverso i campionamenti rilevati a bordo della goletta Tara, durante la spedizione finanziata da Tara Expedition, “Tara Oceans”.
La loro analisi mostra la mappatura di una vastissima gamma di organismi planctonici, esplora la loro straordinaria biodiversità, offre una comprensione di come i loro effetti sono influenzati dall’ambiente.
Nel corso della spedizione sono stati infatti raccolti campioni (di alta qualità e standardizzati) per la genetica (DNA/RNA), la morfologia e la chimico-fisica in 153 stazioni, per un totale di 30 mila campioni biologici (e 13 mila misure ambientali) su tre profondità. La spedizione multidisciplinare ha coinvolto 70 culture e paesi diversi attraverso laboratori e istituti scientifici, attraversando i cinque continenti.
“Con Tara l’uomo si riappropria degli oceani, non più solo per attraversarli a scopo commerciale, ma per conoscerli da un punto di vista profondo, e riconoscerli come possessori di un patrimonio segreto che parla in maniera intima ed originaria del nostro Pianeta – spiega il presidente della Stazione Zoologica Roberto Danovaro – Un tassello importante anche alla luce di quello che l’Italia sta portando avanti con la misura europea “Blue Growth”, la strategia messa in campo con gli obiettivi di Europa 2020, per promuovere e realizzare una crescita sostenibile nei settori marino e marittimo – conclude Danovaro – l’Italia deve accrescere sempre di più la consapevolezza del ruolo cruciale del mare nello sviluppo tecnologico e sociale dell’intero paese”.
Come ormai in questi anni è venuto sempre più alla luce, il plancton oceanico è il più grande ecosistema del pianeta, ha generato l’ossigeno dell’atmosfera ben prima della comparsa delle piante terrestri e oggi produce ancora tanto ossigeno quanto tutte le foreste, partecipa a importanti cicli biogeochimici e quindi all’equilibrio climatico.
Nello specifico grazie ad una strategia unica che unisce ogni campione di plancton con misure precise di fattori ambientali – come la temperatura , pH , e nutrienti (tra gli altri) – gli scienziati sono stati in grado di determinare in che modo ciascuno di questi fattori influenza questi organismi microscopici che galleggiano nell’oceano. Oltre al coordinamento dell’intera spedizione, Daniele Iudicone, si è occupato della pianificazione accurata delle stazioni di campionamento per l’identificazione del ruolo delle correnti marine nel determinare la diversità planctonica. Questo studio, come tutta la spedizione, è oggetto di una pubblicazione su Science in uscita domani (22 maggio) giornata mondiale della biodiversità.
La ricerca ha rivelato come il plancton cambia cavalcando le Agulhas, “correnti circolari” che separano l’Oceano Indiano da Sud Atlantico. “E’ come se il plancton passasse attraverso un ciclo di lavaggio a freddo sulla punta del Sud Africa”, spiega Daniele Iudicone della Stazione Zoologica Anton Dohrn.
“Le correnti formano enormi vortici che mescolano drasticamente e raffreddano il plancton che le attraversa, limitando così il numero di specie che riescono ad arrivare all’Atlantico”.
Le condizioni ambientali difficili, create dai venti dei Quaranta Ruggenti a sud-est del continente africano, provocano un cambiamento rilevante nella comunità del plancton durante il suo viaggio tra l’oceano Indiano e il Brasile. Combinando le osservazioni oceanografiche compiute a bordo di Tara in un anello “giovane” (meno di un anno di vita) con simulazioni al computer e con le analisi del cambiamento dei geni per l’assimilazione dell’azoto nel DNA batterico, hanno scoperto che l’intero ecosistema è, infatti, alterato dal forte raffreddamento e dal mescolamento profondo prodotto dal vento (che espone al buio le cellule ma apporta anche nutrienti), una sorta di ciclo di “lavaggio a freddo” del plancton.
Infine, questi risultati forniscono la prima descrizione dettagliata, e sulla base di dati genomici, delle comunità planctoniche degli anelli dell’Agulhas, un collo di bottiglia chiave per la macchina del riscaldamento climatico e centrale nei modelli di previsione dei cambiamenti globali.
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